mercoledì 24 ottobre 2012

L'urlo della banshee


 Una cosa che amo molto della mitologia celtica è la sottile vena di malinconia che la pervade. Gli antichi Celti erano molto dediti alle armi, come dimostra la loro mitologia, sempre intenta a raccontare qualche conflitto. Però in mezzo a tutti gli episodi bellicosi, si trovano storie piene di profondità e di sentimenti autentici. Purtroppo molte di queste storie non hanno un lieto fine, ma a parer mio sono delle presenze di valore in una tradizione come quella celtica. Questo sottile strato di tristezza infatti contribuisce a dare profondità a racconti dove le guerre e la magia fanno la parte del leone.
 La presenza di figure malinconiche fin dalle prime narrazioni popolari ci può far capire il motivo per cui il Romanticismo (inteso come movimento artistico-letterario, non nel significato odierno) abbia trovato terreno fertile nelle isole britanniche. Voglio oggi presentare una delle creature misteriose e tetre tipiche del folklore irlandese e scozzese: la banshee.

 Il termine deriva dalla fusione di due termini gaelici: bean, "donna" e sidhe, riconducibile o a sith, "fata", o a sid, "collina delle fate". L'intero nome banshee, dunque, significa "donna del colle delle fate". In Irlanda è conosciuta anche come ban caointe, la "piangente", mentre nelle highlands scozzesi la banshee è chiamata anche bean nighe, ovvero "la piccola lavandaia del guado". Esiste anche un equivalente maschile di questa creatura, il far shee o, in lingua irlandese, fear sidhe.

Una banshee che vola nel freddo vento di marzo


 Nell'antica tradizione celtica, la banshee era una dea protettrice della comunità sociale e della zona in cui essa era insediata, ma con l'avvento del cristianesimo passò a esercitare il ruolo di una semplice fata.
 Si può dire che fosse uno spirito che assumeva la forma o di una splendida giovane, o di donna matura o di un'anziana nell'atto di cantare o di piangere. Infatti, una caratteristica tipica della banshee sono gli occhi arrossati dal pianto o un velo che l'avvolge. Portava vesti di vari colori, ma solitamente prediligeva il bianco o il rosso, i colori che nella tradizione celtica richiamavano il mondo dei morti. I suoi capelli erano lunghi e fluttuanti, che amava pettinare con un pettine d'oro o d'argento. 
 Il compito della banshee era quello di proteggere il clan e la famiglia a cui era associata. Secondo l'antico folklore irlandese, la banshee piangeva solo per le principali famiglie nobili: gli O'Neill, gli O'Brien, gli O'Connor, gli O'Grady e i Kavanagh. Per questo, se qualcuno era in grado di udire l'urlo disperato della banshee poteva dirsi nobile. Tuttavia, in seguito a matrimoni con altre famiglie, la lista di chi poteva sentire i lamenti della banshee si allungò notevolmente. Addirittura la banshee riusciva a controllare i componenti della famiglia che proteggeva anche quando questi emigravano in altri Paesi, come l'America. 

 Il tratto peculiare della banshee resta però il suo sonoro lamento. Le sue urla prendono il nome di keening, dalla parola gaelica caoineadh, cioè "lamento", ed era la prima avvisaglia della presenza di questa creatura. Il suo pianto fragoroso era dovuto all'imminente morte di un membro della famiglia protetta oppure, in rari casi, si trasformava in un pianto di vittoria se la morte toccava a una persona di una famiglia avversaria.
 Ma quasi sempre il grido disperato della banshee nasceva dal dolore per l'imminente perdita di quello che ella stessa considerava uno dei propri "cari". Per questo la banshee di solito è vista come una figura portatrice di sventura, uno spirito maligno che annuncia una disgrazia. Questa sfortunata caratteristica della banshee la porterà, dallVIII secolo in avanti, a essere classificata tra le creature malvagie. Più avanti, poi, verrà rappresentata come uno spirito in grado di uccidere con il suo solo grido.

Una banshee dalle sembianze di un'anziana in lutto


 Vi sono delle banshee che hanno raggiunto nel tempo una maggiore notorietà delle altre. Una di queste è Aibhill, legata alla famiglia irlandese degli O'Brien, che la notte prima della battaglia di Clontarf (1014) era apparsa al re Brian Boru nell'atto di lavare i panni dei soldati finché l'acqua non si fosse tinta di sangue. In questo modo, il sovrano capì che sarebbe andato incontro a morte certa durante la battaglia.
 Anche le banshee scozzesi sono molto popolari. Una leggenda racconta che un certo Lord Airlie una volta uccise un giovane suonatore di tamburello incastrandolo nel suo strumento e facendolo precipitare dalle mura. Da questo momento in poi, la banshee protettrice della dinastia Airlie si presentò sempre con un suono di tamburello ogni volta che uno dei nemici della famiglia stava per morire.
 Un'altra leggenda, invece, fa riferimento alla bean nighe, che si aggirava vicino ai torrenti per lavare via il sangue dai vestiti di chi era prossimo alla dipartita. Il folklore scozzese identificava le bean nighe con spiriti di donne morte di parto, che non riuscivano a trovare pace e vagavano sconsolate in attesa di una vera e propria morte. La bean nighe era tutt'altro che avvenente, poiché aveva un naso con un'unica narice, un enorme dente sporgente e i seni penduli. Tuttavia, chi fosse riuscito a bere il latte del suo seno sarebbe divenuto figlio adottivo della bean nighe, che si sarebbe impegnata a esaudire un suo desiderio.

Una bean nighe lava gli indumenti al fiume


 Anche se questa creatura preannunciava la morte imminente di un familiare, non riesco a ritenerla uno spirito di sventura. Si dice spesso che "ambasciator non porta pena", ma la realtà è un'altra. Chiunque nota per primo delle cose non giuste o negative rischia sempre di fare l'uccello del malaugurio e viene incolpato addirittura di attirare cattiva sorte. 
 Eppure non è così. Non possiamo puntare il dito contro chi è "colpevole" solamente di rivelarci una verità scomoda. Ciò che non va è la realtà, non la persona che erroneamente consideriamo menagramo. Quindi anziché prendercela con chi non c'entra, o ci rassegnamo al destino, o tentiamo di cambiarlo. In meglio.




Fonti:
- Wikipedia, voce "Banshee";
- Celticpedia, articolo "La Banshee";
- Il boschetto di Ylith, articolo "Banshee: la fata della morte".

venerdì 19 ottobre 2012

I vampiri africani

 Tempo fa avevo scritto un articolo sui vampiri, cercando di risalirne alle origini. Mi sono concentrata principalmente sulle figure vampiriche europee per ragioni di spazio, ma l'idea del vampirismo era diffusa presso le popolazioni antiche anche al di fuori del nostro continente. 
 Quello che mi propongo di fare, dunque, è completare in qualche modo il discorso sui vampiri prendendo in considerazione di volta in volta le culture extra-europee, di solito non molto conosciute. Oggi voglio trattare delle creature vampiriche africane.

 Nel continente nero, il vampirismo è collegato con i riti tribali, tra cui anche quelli vudù (cfr. art. "La religione vudù" in questo blog). Gli sciamani e gli stregoni, infatti, sono associati di solito a fenomeni di cannibalismo, vampirismo e necrofagia. In questi casi, i vampiri sono delle creature demoniache che fungono da messaggeri tra le streghe, gli sciamani e le forze del male a cui essi si appellano per svolgere i loro riti. Questi vampiri sono detti familiari per la funzione che svolgono e sono spesso degli animali, come i granchi giganteschi chiamati nkala
 Altri servi di streghe e sciamani sono poi lo nyalumaya, una scultura in legno che ha acquisito la vita, e il khidudwane, un cadavere riportato in vita che obbedisce agli ordini di chi l'ha "resuscitato" e che può, con il solo sguardo, assorbire il sangue.
 Ma il più terribile tra i familiari delle streghe è l'impundulu, uno spirito o uno zombie che è noto soprattutto nella regione del Capo, in Sudafrica. Questo servo è caratterizzato da una sete insaziabile di sangue, che può provocare dei frequenti atti di insubordinazione nei confronti della propria padrona. Infatti, può capitare che sia lo stesso impundulu a costringere la strega a inviarlo a mietere vittime durante la notte per placare il suo appetito e, soprattutto, per evitare di rimanere uccisa lei stessa. Se poi questa creatura uccide di propria iniziativa, prende il nome di ishologu. Un'altra caratteristica peculiare dell'impundulu, è che viene tramandato di madre in figlia, di solito per infliggere sofferenze ai nemici. Tuttavia, si è visto come sia difficile controllare un essere di questo genere, anche perché a volte si presenta alla strega sotto forma di un giovane avvenente, allo scopo di diventarne l'amante.   

Un affamato impundulu


 Oltre alla categoria degli spiriti malefici, ve ne sono altre due che possono rientrare nei parametri del vampirismo: i non-morti e perfino dei viventi. Nel novero delle crature viventi dobbiamo considerare le streghe-vampiro, che sono di varie tipologie. Queste sono in grado di rubare l'essenza vitale a vittime ignare durante la notte e si dice che si appostino addirittura sulle capanne per succhiare il cuore degli abitanti. Il vampiro più pericoloso è l'obayifo, popolare presso gli Ashanti nella Costa d'Oro africana. Questo essere è in grado di trasformarsi in un globo di luce e di succhiare il sangue dei bambini, le sue vittime preferite. L'obayifo è anche un terribile distruttore dei raccolti che incontra nel suo percorso casuale.
 I tratti terribili di questa figura la rendono nota anche presso altre tribù, come gli Ewe della zona sud-est del Ghana e del sud del Togo, che la identificano con il nome di Adze. Si tratta di una strega-lucciola o mosca, che attacca soprattutto i bambini succhiando il loro sangue e che beve olio di palma e latte di cocco, distruggendo le palme. Se catturata, questa strega prende forma umana.
 Tutte le streghe, comunque, sono ritenute degli esseri pericolosi. Esse si riuniscono in particolari cerimonie (in Europa note come sabba), dove a turno bevono dalla baisea, una grande coppa contenente sangue, per aumentare il proprio potere.

Un'Adze in azione


 Da ultimo, non possiamo non parlare dei non-morti, i famosi zombie tipici dello sciamanismo africano. In Guinea gli stregoni risvegliano i morti per farli diventare loro schiavi, inibendo il loro libero arbitrio pintando nel cervello degli zombie dei chiodi appuntiti. Questi non-morti sono chiamati isithfuntela e possono ipnotizzare la vittima con la sola forza dello sguardo.
  Altri esseri che si originano dai cadaveri sono i mutala, che costituiscono la parte malvagia dell'anima del defunto che non riesce a trovare pace. Il mutala ha le sembianze di un torso umano privo di arti inferiori che si trascina sul suolo solo con la forza delle braccia. Anche quest'essere è una creatura notturna, che si impossessa della forza vitale delle proprie vittime strappando loro i capelli.
 Un'altra anima che nonn riesce a trovare pace è il wusangu, una sorta di cadavere che però non riesce a morire, nemmeno dopo la sepoltura. Il wusangu, però, a differenza degli altri esseri vampirici che abbiamo nominato, non è aggressivo e non attacca le persone, ma si limita a emettere sonori lamenti. In più, questa sfortunata figura soffre di un'amnesia cronica.
 Molto più pericoloso è invece il loango, lo spirito inquieto di uno stregone defunto, che girovaga per i boschi alla ricerca di sangue da sottrarre alle proprie vittime, poco importa se umane o animali.   

 Un altro vampiro africano che vive nelle foreste è poi l'asanbosam del Ghana del sud, della Costa d'Avorio e del Togo. Questa creatura ha sembianze umanoidi, denti appuntiti e durissimi e uncini agli arti inferiori, coi quali ghermisce i passanti per condurli nel proprio nido, di solito in cima a un albero, dove può consumare il pasto in santa pace.

Un asanbosam appostato su un albero


 Le popolazioni africane hanno cercato vari modi per fronteggiare la minaccia di queste creature terribili.
 I Bantu, gli Obang e i Keaka hanno pensato di riesumare i corpi di coloro che in vita erano sospettati della pratica di stregoneria per sventrarli in pubblico, in modo da far uscire il familiare. Questo assumeva la forma di un uccello nero, un ratto o un pipistrello, che si deve eliminare immediatamente se non si vuole che il cadavere esali un'escrescenza maligna, chiamata ko'du.
 Per quanto riguarda i corpi dei vampiri, le popolazioni africane li bruciano in occasione di notti senza luna o li inchiodano al suolo.

 Ancora una volta, dunque, il vampirismo si associa alle donne, soprattutto alle streghe. Tuttavia, non vi è una discriminazione di genere, poiché tanto le donne quanto gli uomini potevano praticare la magia nera. Quindi la vera novità del vampirismo africano è la sua stretta connesione con la ritualità maligna e la stregoneria, che esercitavano dei comuni esseri umani.
 Questa costituisce una novità rispetto ai fenomeni di pre-vampirismo europeo di cui si è trattato in precedenza, che erano invece connessi con delle vere e proprie divinità dell'oltretomba.
 Forse questa concezione africana vuole dirci che il male non è esterno all'uomo, ma si trova all'interno, come i familiari che infestano il corpo dei loro padroni. E' troppo facile attribuire alle circostanze e agli altri la colpa delle proprie cattive azioni.
 Dovremmo tutti imparare dai nostri fratelli africani, che probabilmente questo l'avevano imparato prima di noi.


 Fonti:
- Wikipedia, "Il vampiro nel folklore africano";
- Sito internet Vampiri.net, "Miti e leggende: i vampiri africani".

venerdì 5 ottobre 2012

La birra, un liquido divino

 Questo articolo capita in maniera assolutamente fortuita. Di solito per scrivere i miei post inizio da un'idea riguardo a un personaggio fantastico o a creature mitologiche che mi incuriosiscono e che voglio conoscere meglio. 
 Stavolta invece l'input è arrivato in una birreria a partire dalla lista dei panini che offriva la cucina. Siccome erano nomi stranissimi e alcuni li avevo riconosciuti come nomi di divinità del mondo antico, mi sono appuntata tutti gli altri che non conoscevo (che non erano pochi!). Così oggi mi sono messa a fare ricerche su internet e ho scoperto che tutti quei nomi erano connessi con tipi antichi di birra, elaborati da varie popolazioni. Nella mia ricerca, poi, sono venuta a conoscenza di miti e rituali sacri connessi con la birra, che era ritenuta una bevanda importante già dai popoli antichi.
 Naturalmente ho trovato anche notizie sulle varietà di birra prodotte nei secoli, ma qui preferisco parlare del suo aspetto mitologico e sacrale, in primo luogo perché credo sia più affine allo spirito di questo blog, in secondo luogo perché data la mia ignoranza e mancanza di predisposizione per la comprensione di determinati processi farei bene a non parlare di argomenti che non mi competono.

 La storia della birra si perde nell'alba dei tempi, tanto che non si ha la certezza assoluta su quale popolo debba ritenersi l'inventore della bevanda. Ne parlano iscrizioni sumere, papiri egizi e addirittura si ricordano tradizioni azteche e cinesi di produzione della birra a partire rispettivamente da mais e riso. 
 Per quanto riguarda l'area mesopotamica, una stele sumera di circa 6000 anni fa documenta l'esistenza della birra. Tra i Sumeri, infatti, esistevano già diverse varietà di birra (chiare, scure, rosse, leggere, forti, ecc.), che era stata inventata, secondo la mitologia, dalla dea Ninkasi. Proprio l'inno a questa divinità costituisce una delle più antiche ricette della birra:

Ninkasi, tu sei colei che cuoce il bappir [pane d'orzo cotto due volte] nel grande forno,

Che mette in ordine le pile di cereali sbucciati,Tu sei colei che bagna il malto posto sul terreno...
Tu sei colei che tiene con le due mani il grande dolce mosto di malto...
Ninkasi, tu sei colei che versa la birra filtrata del tino di raccolta,

È [come] l'avanzata impetuosa del Tigri e dell'Eufrate
 Ninkasi, la dea sumera della birra
  
 Sempre in Mesopotamia, troviamo tracce della birra anche nel codice del re babilonese Hammurabi che, tra le altre cose, regolamentava il comportamento delle ostesse (la birra era infatti venduta solo da donne) nel commercio della birra. Questa bevanda, presso i Babilonesi, aveva un'importanza fondamentale nei riti funebri, durante i quali veniva consumata in onore del defunto in qualità di rito propiziatorio. Inoltre la stessa Ishtar, la dea madre del pantheon babilonese, traeva forza proprio dalla birra.  
 Anche nell'antico Egitto questa bevanda era ricollegata a delle divinità. E non erano divinità qualunque, visto che si trattava di Iside e Osiride, ritenuti gli inventori della birra. Oltre a usare tale bevanda nelle cerimonie funebri, gli Egizi la impiegavano anche a scopo medicinale e nell'alimentazione quotidiana; infatti, perfino i bambini venivano abituati a bere birra, poiché rappresentava sia un nutrimento sia una medicina. Il liquido veniva offerto in particolar modo alle gestanti, per favorire l'allattamento.

 Si può così notare come nel mondo antico questo liquido venisse associato alle divinità femminili della terra e dei cereali. Oltre alla dea babilonese Ishtar, la birra nel mondo romano venne chiamata cerevisia in onore di Cerere, la dea delle messi. Come succedeva spesso nella cultura romana, si trattava della ripresa di una tradizione greca, che prevedeva il consumo della bevanda durante le feste in onore di Demetra, l'equivalente greca della Cerere romana sopra citata. Nonostante nel mondo classico il vino la facesse da padrone, dunque, anche la birra si ritagliò un ruolo importante, soprattutto durante le Olimpiadi, dove agli atleti era proibito bere vino.
 Altre leggende provenienti da vari paesi dimostrano l'esistenza dell'associazione birra-donna in quanto simbolo di fertilità. Una di queste vuole che fosse stata proprio una donna a produrre per prima la birra. Questa si era dimenticata fuori dalla propria abitazione un contenitore con dei cereali durante la pioggia. I cereali macerarono nell'acqua e fermentarono naturalmente grazia al successivo calore solare.
 Una saga nordica narra di un re vichingo che, dovendo scegliere una moglie tra due donne, volle sposare quella che avrebbe prodotto la birra migliore. La futura prescelta invocò Odino, il quale usò la propria saliva come lievito fermentante nella preparazione della bevanda. Da quel momento in poi, la birra fu investita del potere di trasmettere la conoscenza esoterica e la donna doveva vegliare durante il momento della fermentazione.
 Anche in Scandinavia e nelle repubbliche baltiche la donna aveva un rapporto particolare con la birra. Il Kalevala, il più grande poema epico finlandese, nel ventesimo runo parla di Osmotar, la ragazza che scoprì il segreto del processo di fermentazione attraverso l'uso di ingredienti e riti she simboleggiano un'unione mistica sessuale. In Lituania, invece, un rito della fertilità praticato fino al XVI secolo prevedeva che la ragazza più alta del villaggio, in equilibrio su un solo piede sopra una panca, bevesse e offrisse birra al dio Waizganthos, che presiedeva alla crescita delle messi di lino.
 Ovviamente, se le donne potevano propiziare la produzione della birra, potevano anche porre degli ostacoli alla fermentazione, come nel caso delle streghe. In alcuni casi, si pensava che durante particolari giorni del ciclo, le donne esercitassero un'influenza negativa sul lievito, minacciando la buona riuscita della fermentazione.

 La birra però non è associata solo alle figure femminili. Se ci spostiamo verso il nord Europa, infatti, essa si insinua nei rituali e nei miti che non sono necessariamente connessi con la fertilità o con le donne.
 Vi sono diverse leggende che individuano vari personaggi come inventori della birra, quali il mitico re Gambrinus delle Fiandre, Radigost, il dio slavo dell'ospitalità o un certo Charlie Mopps, protagonista di una canzone diffusa nei pub inglesi:

Molto tempo fa, indietro nella storia
quando tutto quello che c'era da bere erano solo tazze di the, 
arrivò un uomo chiamato Charlie Mopps 
ed egli inventò la meravigliosa bevanda, e la fece con il luppolo.


Radigost, il dio dell'ospitalità


  
 Tacito racconta che tra i Germani c'era l'usanza di bere birra a volontà nelle assemblee prima di deliberare, poiché in questo modo credevano che si favorisse il contatto con gli dèi e i defunti. 
 Inoltre, nella tradizione vichinga la birra è concepita come una bevanda sacra adatta ai guerrieri, poiché poteva conferire loro la forza della terra. Odino stesso raccomandava ai guerrieri di consumarla per favorire le proprie prestazioni durante la battaglia, a patto che poi l'uomo riacquistasse il senno. I guerrieri bevevano la birra in corni con incise rune sacre, di modo che se un nemico vi avesse aggiunto del veleno, il corno si sarebbe spezzato. 
 Sempre nei paesi nordici, vi sono leggende che si intrecciano con gli spiriti maligni. Questi si annidavano nei locali dove si preparava la birra a andavano esorcizzati con spruzzi di mosto e della bevanda stessa. Nel caso questo non bastasse, la notte, nella stanza dove si produceva la birra, veniva lasciato di guardia il gatto di casa, che aveva il compito di scacciare il più malvagio degli spiritelli, Okorei. Costui, infatti, protetto dalle tenebre notturne, rubava la birra e faceva inacidire quella che non riusciva a portare via con sé.  
 In generale, poi, vi era la credenza secondo la quale non si dovevano sbattere le porte o far vibrare i pavimenti di legno della stanza dove si preparava la birra per non "spaventare" il lievito. Ciò era dettato dal fatto che, per far avvenire regolarmente la fermentazione, bisognava evitare ogni corrente d'aria e ogni minimo scuotimento del mosto.   

 Infine, non si può non menzionare la cultura celtica, dove la birra compare praticamente ovunque. Queste popolazioni stimavano molto le proprietà della birra e dei grandi e preziosi calderoni come quello di Gunderstrup, risalente al II secolo a. C., venivano riempiti fino all'orlo della bevanda in occasione di vari rituali.
 Ovviamente, una bevanda così importante a livello religioso, non può essere assente nelle narrazioni e nella mitologia delle popolazioni celtiche. In primo luogo ricordiamo due "signori della birra": Cernunno, il dio degli animali e il fabbro Goibniu, che in Irlanda serviva la birra ai potenti Tuatha Dé Danann, degli esseri divini in possesso di facoltà straordinarie.
 Sempre in Irlanda si narra la leggenda di Mag Meld, un eroe che carpì il segreto della fabbricazione della birra ai terribili Fomori, i dominatori dell'isola prima dell'arrivo degli uomini. Mag Meld svelò il segreto agli antenati degli Irlandesi, che poterono godere delle virtù della mistica bevanda, la quale conferiva ai Fomori forza straordinaria e immortalità. Grazie all'opera di Mag Meld, assimilabile in qualche modo al classico Prometeo, i mostruosi Fomori perdettero il loro potere e vennero in seguito scacciati dall'isola. Proprio da questo eroe prese nome la mitica terra dell'Oltremondo del folklore irlandese, chiamata anche Avalon, Tir Na Nog o Anwynn. Si trattava di una terra sotterranea, dove non esistono né morte né malattie e dove l'esistenza è sempre piacevole e dolce, comparabile a un'eterna primavera. 
  
Goibniu, il fabbro dei Tuatha Dé Danann

 Dopo aver scoperto così tante leggende e credenze sulla birra, non si può evitare di vedere questa bevanda con occhi diversi. Dedico questo articolo a tutti gli appassionati di birra, tra cui il mio moroso, a cui auguro di cuore di riuscire un giorno ad aprire una birreria. Quando c'è la passione per qualcosa di quotidiano, come in questo caso la birra, si va oltre i confini reali dell'oggetto, lo si investe di caratteristiche che vanno al di là delle sue reali virtù. Ma è proprio questa la magia necessaria al giorno d'oggi, per contrastare il grigiore dei nostri tempi. E allora, come dice il Kalevala,


Cara birra, amata bevanda, non lasciarti bere invano! 
Induci gli uomini al canto, fa che dispieghino le loro voci d'oro!



Fonti:
- Sito internet AssoBirra, articolo " La storia e i miti della birra";
- Wikipedia, voce "storia della birra";
- PELOSINI, Giovanni, "Miti e simboli della birra".