mercoledì 28 novembre 2012

I calendari maya - Lo Tzolk'in

 Dicembre si avvicina, e così anche il giorno della terribile profezia maya che, secondo i giornalisti e gli inesperti, vorrebbe che il mondo finisse il 21 dicembre 2012.  In realtà non è così, perché per i maya questa data rappresenta la fine di un'era, che comporterà sì dei cambiamenti, ma non certo la fine del mondo! Per loro la fine conteneva già i germi di un inizio, quindi presupponeva una rinascita, un evento positivo. Quindi non c'è da preoccuparsi!
 In compenso, vorrei approfondire il discorso sul computo del tempo e sui calendari maya. Scrivo i calendari, al plurale, perché i Maya amavano talmente tanto calcolare e misurare il tempo che un unico calendario non gli bastava. Quindi i prossimi post saranno dedicati interamente ai calendari usati dagli antichi Maya, a scopo di capire veramente la loro filosofia del tempo e perché non bisogna temere il 21 dicembre 2012.

Una raffigurazione del calendario solare maya

 Il primo calendario di cui parlerò oggi è lo Tzolk'in. Lo Tzolk’in, il calendario più antico della Mesoamerica (probabilmente di origine olmeca), era il ciclo rituale, che serviva per le funzioni religiose. Il suo nome deriva da Tzol, “conto”, “ordine dei giorni” e K’in, ossia “giorno”, e quindi significa letteralmente “conto dei giorni”. In tutto, lo Tzolk’in era composto da 260 giorni e si basava su altri due cicli, più brevi: uno composto da cifre da 1 a 13 e un altro composto da 20 giorni. Dunque i nomi dei giorni dello Tzolk’in si componevano premettendo un numero dall’1 al 13 al nome di uno dei 20 giorni. A ognuno dei 20 giorni corrispondeva un glifo, legato alla divinità che patrocinava quella determinata giornata. Questi 20 giorni erano:
1. Imix, il primo giorno del calendario rituale, era dedicato a una divinità femminile, probabilmente una dea madre della fertilità.
2.  Ik’, il secondo giorno, significa “vento”, ed era connesso con la pioggia fertilizzante che permetteva la nascita del mais, ma anche con il dio del vento Kukulkan, inteso come soffio vitale, spirito e voce.
3.  Ak’bal, il terzo giorno, era associato alla notte e a esseri legati a questo momento della giornata, come il dio giaguaro, che rappresentava il cammino notturno del sole, e il serpente.
4.  K’an, il quarto giorno, etimologicamente significa “corda”, ma nel glifo di questo giorno compare un chicco di mais. Questo perché il glifo indicava anche Yum Kax, il giovane dio del mais, simbolo di abbondanza.
5. Chikchan, quinto giorno, rappresentava il serpente piumato e il pianeta Venere, concepito come stella del mattino.
6.    Kimi, il sesto giorno, era patrocinato dal dio della morte Yum Cimil ed era associato anche all’uccello Muan e altri volatili malauguranti.
7. Manik’, il settimo giorno, simboleggiava il cervo, poiché la divinità che presiedeva a questo giorno, Buluk Chabtan, era il dio protettore della caccia e del sacrificio umano, che si presentava proprio sotto forma di cervo. Nel Popol Vuh, il testo mitologico più importante della tradizione maya, tale divinità corrisponde a Tohil, connesso con la caccia, la concia delle pelli e ai sacrifici di sangue.    
8.    Lamat, l’ottavo giorno, nel glifo presenta una stella, forse Venere. La sua simbologia era connessa al coniglio e a Venere, ma non si conosce con precisione la divinità a esso associata.
9.  Muluk, il nono giorno, significa “giada”, pietra simbolo dell’acqua e connessa con una figura mitologica, Ah Xoc. Ma il patrono di questo giorno è Kinik Ajaw, “faccia di sole”.
10. Ok, il decimo giorno, si collocava alla metà di uno Winal, una ventina, che era un completamento di un ciclo di 20 giorni. Il nome significa “cane”, ed era dedicato a una divinità infera che accompagnava i morti nell’aldilà dei Maya, chiamato Xibalbá.

Alcuni glifi rappresentanti i giorni dello Tzolk'in
11. Chuwen, l’undicesimo giorno, significa “scimmia”, animale che rappresentava Ah Chicum Ek, la dea della stella polare che proteggeva gli scribi e gli artisti. Si trattava di una divinità doppia, raffigurata anche come una coppia di gemelli che dipingevano, intagliavano, scrivevano o si dedicavano ad altre attività artigianali.
12. Eb, dodicesimo giorno, era ritratto come un teschio, simbolo della pioggia. Eb era dedicato a una divinità nefasta, probabilmente Ixchel.
13. Ben, il tredicesimo giorno, era collegato al dio del mais che protegge la pianta nella prima fase di crescita.
14. Ix, quattordicesimo giorno, deriva da un termine arcaico che indica il giaguaro.
15. Men, il quindicesimo giorno, era raffigurato come una testa di aquila o di un altro uccello rapace ed era associato alla fase decrescente della luna. Forse era anche collegato alla dea dell’arcobaleno, Ixchel.
16. Kib, sedicesimo giorno, ha un nome che potrebbe significare “gufo”, ma era dedicato al dio delle api, che garantiva una produzione abbondante di miele.
17. Kaban, diciassettesimo giorno del calendario, corrispondeva alla testa di una giovane dea della terra, associata anche alla fase crescente della luna, al coniglio, alla fecondità e al mais.
18. Etz’nab, il diciottesimo giorno, significa “coltello di ossidiana”, l’arnese che si usava nei sacrifici umani e negli autosacrifici.
19. Kawak, diciannovesimo giorno del calendario, era rappresentato da nuvole poiché il nome significa “pioggia” o “tempesta”. Probabilmente la divinità che patrocinava questo giorno portava piogge e temporali distruttori, opposti alle piogge fertilizzanti.
  20. Ajaw, l’ultimo giorno del calendario rituale, rappresentava il volto del signore del sole. L’etimologia del nome rimanda a “re”, “signore”, titolo che veniva usato anche per rivolgersi ai sovrani, ai sacerdoti e alle divinità. Questo giorno era dedicato a Itzamna e a una divinità solare, Kinik Ajaw, ovvero un’altra forma di Itzamna.


 In teoria il computo dei giorni dovrebbe partire da 1 Imix, ma secondo il conteggio mitico il primo giorno dello Tzolk’in, cioè il giorno in cui tutto ebbe inizio, è 4 Ajaw. Da quest’ultima data parte anche il computo delle ere maya, quello che viene chiamato il “conto lungo”. 1 Imix, invece, è il giorno di partenza del calcolo delle ventine, chiamate Winal.
 Ogni giorno che passa entrambi i cicli avanzano di uno: avremo dunque 1 Imix, 2 Ik’, 3 Ak’bal, ecc., fino ad arrivare a 13 Ben. Da questo punto in poi la numerazione riparte da capo, ma non accade lo stesso per il nome dei giorni; si proseguirà dunque con 1 Ix, 2 Men, 3 Kib fino a 7 Ajaw. Dopo i nomi dei giorni ricominceranno da 8 Imix, mentre la numerazione continuerà, e così via. In questo modo, ogni giorno assume tutte le volte che si presenta un numero diverso da 1 a 13 secondo una sequenza sempre uguale: 1 – 8 – 2 – 9 – 3 – 10 – 4 – 11 – 5 – 12 – 6 – 13 – 7 – 1 – 8 ecc.
 Di conseguenza, il lasso di tempo che passerà tra due giorni che presentano lo stesso numero e lo stesso nome sarà equivalente al minimo comune multiplo tra 13 e 20, cioè 260 giorni, ovvero un intero ciclo Tzolk’in. 
 Questo calendario era importante anche per registrare le date di nascita delle persone della comunità, annotate proprio secondo lo Tzolk’in. A seconda del giorno in cui un individuo nasceva, si poteva capire quale sarebbe stato il suo destino. Dunque i Maya credevano che le caratteristiche di quel dato giorno e della corrispondente divinità protettrice influissero sulla vita dell’individuo, un po’ come il nostro oroscopo basato sui 12 segni zodiacali.

 Già da queste informazioni si può capire quanto i Maya tenessero in considerazione la misurazione del tempo, che diventava una vera e propria divinità, con aspetti multiformi. Per loro i calendari erano una cosa maledettamente seria, anche perché avevano una concezione ciclica del tempo. Finito un lasso di tempo, la storia ricominciava da capo, e gli eventi si ripetevano sempre uguali. Quindi era importante sapere cosa era successo nel passato per affrontare il presente e il futuro.
 Non c'è dubbio che in tutto ciò si nascondesse una grande saggezza e una forte volontà di imparare dal passato maggiore rispetto ad altre civiltà. Anziché preoccuparci della fine del mondo e dare retta ai falsi allarmismi, forse dovremmo prendere d'esempio i Maya per altri motivi. 



Fonti:
- ZAFFAGNINI, Gianni, I calendari maya - Oltre le paure della fine, Edizioni Sonda, Casale Monferrato (AL), 2011.

mercoledì 14 novembre 2012

Alle radici dell'albero cosmico - L'albero come asse del mondo nella tradizione europea

  Uno degli elementi più presenti nei miti e nel folklore delle popolazioni antiche è l’albero. Questo elemento naturale assume una grande varietà di funzioni, ma una più di tutte le altre rende evidente l’importanza che l’albero ha sempre rivestito nell’antichità: quella di centro e asse dell’universo.

 Di per sé, l’albero non è propriamente un motivo cosmologico, perché è innanzi tutto un elemento naturale che, per le sue caratteristiche, ha assunto una funzione simbolica. L’albero, in quanto tale, si rigenera sempre con il passare delle stagioni: perde le foglie, secca, sembra morire, ma poi ogni volta rinasce e recupera il suo splendore. Per queste sue caratteristiche, esso diventa non solo un elemento sacro, ma addirittura un microcosmo, perché nel suo processo di evoluzione rappresenta e ripete la creazione dell’universo. Inoltre, proprio per la sua estensione sia verso il basso sia verso l’alto, questo elemento ha finito inevitabilmente per assumere una valenza cosmologica, andando a costituire il perno dell’universo che attraversa cielo, terra e oltretomba e che funge da collegamento tra le zone cosmiche.
 Per questo, sono molte le popolazioni che nella propria cosmologia concepiscono l’esistenza di un albero sacro come asse del mondo. Tra queste, le popolazioni antiche europee testimoniano, nella religione e nella mitologia, una presenza massiccia di questo motivo. 

La Bibbia
 Un primo esempio lampante ci viene dalla Bibbia, dove si parla dell’albero della conoscenza del bene e del male posto al centro dell’Eden. È importante sottolineare che l’albero, in questo caso e negli altri che verranno esposti, si fa portatore anche della simbologia del centro, il luogo sacro per eccellenza, poiché è l’inizio e la fine di tutte le cose e sede dell’ordine cosmico. È proprio il centro il luogo di intersezione delle tre sfere cosmiche (cielo, terra e oltretomba), dove è possibile passare da una regione all’altra dell’universo. Per questo, solo pochi eletti riescono ad accedere a questo punto particolare, e non senza aver superato molte prove e difficoltà. Uno di questi ostacoli può essere rappresentato proprio dal custode dell’albero, che nella Genesi è il serpente tentatore di Adamo ed Eva. L’albero della conoscenza giocherà un ruolo centrale anche nelle vicende che riguardano la morte del Cristo: esiste infatti una leggenda cristiana che vuole che il legno della croce di Gesù coincida con quello dell’albero edenico. E, guarda caso, questa stessa leggenda fa corrispondere il punto della crocifissione del Cristo con il centro del mondo, dov’era stato creato e sepolto Adamo. Dunque la croce di Cristo, instaurando una continuità con l’albero edenico, si configura per i cristiani come sostegno dell’universo e incorpora così il motivo dell’albero come asse del mondo che collega il cielo, la terra e l’aldilà.

Adamo ed Eva colgono il frutto proibito dell'albero


La tradizione celtica
 Sempre rimanendo in ambito europeo, ci sono molti altri esempi di culture che, pur non essendo cristiane, presentano il concetto di albero cosmico nel proprio folklore. Nell’area celtica troviamo due specie arboree che assumono questo ruolo: la quercia e il frassino. In Gallia, la quercia è considerata la regina della foresta, perfetta, forte dei suoi imponenti rami e salda nelle sue ancor più grandi radici, per questo simboleggia la salda protezione e la forza primordiale, nonché l’abilità di sopravvivere. Tali attributi associati alla quercia non derivano però dalle sue caratteristiche naturali, ma da Giove, divinità a cui quest’albero è strettamente legato. La quercia, infatti, si presta bene a rappresentare la maestosità e la forza del dio romano supremo, il cui culto era diffuso anche tra i Celti gallici. Anche il frassino, chiamato Necht, rappresenta il motivo dell’albero cosmico, poiché possiede radici che penetrano molto in profondità nel terreno e rami spessi e forti. Per questa sua immagine di molteplicità e robustezza, nella mitologia celtica e norvegese il frassino è ritenuto lo specchio del mondo e dell’universo, poiché in quanto asse del mondo la sua estensione abbraccia gli inferi, la terra e il cielo. Esso è dunque un microcosmo, poiché riproduce in scala ridotta la struttura di tutto l’universo.

Yggdrasill, l'albero cosmico dei Germani
 Parlando del frassino, non si può non menzionare Yggdrasill, l’albero cosmico che sostiene tutti e nove i mondi dell’universo germanico che veicola una complessa simbologia. Yggdrasill ha tre radici, ma sulla loro collocazione vi sono tradizioni discordanti. Secondo il poema Grímnismál, contenuto nell’Edda poetica, la prima radice finisce nel regno di Hel, l’oltretomba, la seconda a Jötunheimr, dove dimorano i giganti della brina, e la terza a Midgardr, il mondo degli umani. Il Gylfaginning dell’Edda in prosa, invece, afferma che la prima radice va a Niflheimr, la regione infera dove si trova la sorgente Hvergelmir, la seconda a Jötunheimr (come dice anche il Grímnismál) e la terza ad Asgardr, presso la dimora celeste degli dèi Asi. In ogni caso, le tre radici non indicano tre zone terrestri, ma tre differenti modi di essere che si esplicano nei regni cosmici degli inferi, della terra e del cielo. Un’altra particolarità di Yggdrasill è la presenza minacciosa di un’abbondante fauna: lo scoiattolo Ratatoskr sale e scende lungo il tronco, sui rami sta appollaiata un’aquila che con il suo battito d’ali origina i venti, cinque cervi e una capra brucano le sue chiome e otto rettili, simili a draghi, rodono le sue radici. Tra questi, gli animali più rilevanti sembrano l’aquila e il più terribile dei rettili, Nidhöggr, che si scambiano vicendevolmente degli insulti attraverso lo scoiattolo Ratatoskr, che funge da messaggero. È proprio questo roditore il mezzo attraverso cui si sviluppa il conflitto tra cielo e terra, simboleggiato dagli screzi tra l’aquila e il rettile. Tutti questi animali mostrano la fragilità di quest’albero, che non è immune alla progressiva erosione della fauna e soprattutto del tempo. Quando Yggdrasill verrà abbattuto, il mondo attuale avrà fine, tutto ciò che esiste verrà distrutto per stabilire un nuovo equilibrio e un nuovo universo.

Yggdrasill, il perno dell'universo nordico


Il folklore slavo
 Se tra i Germani e i Celti è il frassino l’albero più importante, tra le popolazioni slave sono il larice e la betulla a fungere da assi del mondo. Queste due specie arboree riprendono il motivo di matrice uralo-altaica dell’albero cosmico che, crescendo al centro dell’universo, congiunge i tre livelli del mondo con le sue radici che scendono nelle viscere della terra e i suoi rami che toccano le nuvole. L'immagine appartiene a una comune concezione sciamanica presente dalle zone orientali d’Europa fino alla Siberia. L'albero cosmico è non solo l'asse che unisce cielo, terra e inferi, ma anche il tramite attraverso il quale lo sciamano è in grado di uscire dal nostro mondo per salire o scendere attraverso i molteplici livelli dell'essere. Per le popolazioni siberiane, il larice è l’albero cosmico lungo il quale scendono il sole e la luna sotto forma di uccelli d’oro e d’argento. Tale ruolo, però, come si è detto prima, può essere rivestito anche dalla betulla, che viene incisa con sette, nove o dodici tacche che rappresentano i livelli celesti. Questa può essere anche connessa talvolta al sole e alla luna; in questo caso assume la duplice funzione di padre e madre, maschile e femminile e anche quella di strumento della discesa dell’influsso celeste. 

La quercia del Kalevala
 La fonte della concezione slava dell’albero cosmico molto probabilmente deriva dalle popolazioni ugro-finniche, che in passato si sono insediate nella Scandinavia e in Russia. Nella mitologia di queste popolazioni, però, l’albero cosmico non è né un larice né una betulla, ma una quercia, che compare nel Kalevala, un poema epico finlandese composto da Elias Lönnrot a metà del XIX secolo. Nel secondo runo, in particolare, si parla di una quercia gigante che si estende in tutto il mondo, fino a coprire la luce del sole. Proprio per questo motivo, il saggio Väinämöinen ordina a un piccolo omino di rame venuto dal mare di abbattere la quercia, affinché il sole possa ancora scaldare la terra. L’abbattimento della quercia simboleggia la rottura dell'asse terrestre, la quale va probabilmente collegata con il fenomeno della precessione degli equinozi, quando il mondo passa da un’era alla successiva e un nuovo signore del tempo dovrà cedere il posto al vecchio.

Väinämöinen semina la terra per farne uscire i germogli, tra cui la quercia


 Com’è possibile notare, in Europa l’albero cosmico è un motivo che ricorre in culture anche molto diverse tra loro. Del resto, la relazione di questo elemento naturale con il trascendente non poteva essere trascurata; l’albero rappresenta la fertilità, l’abbondanza e il ciclo della natura che si rinnova miracolosamente ogni anno. Ecco perché una semplice pianta riesce a contenere l’infinità dell’universo.



Fonti:

- BROSSE, Jacques, Storie e leggende degli alberi, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1989;
- CHEVALIER, Jean, GHEERBRANT, Alain, Dizionario dei simboli: miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, Rizzoli, Milano, 1986;
- ELIADE, Mircea, Immagini e simboli: saggi sul simbolismo magico-religioso, Jaca Book, Milano, 1981;
-  ELIADE, Mircea, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino, 2008;
-  GREEN, Miranda Jane, Dizionario di mitologia celtica, Bompiani, Milano, 2003;
-  GUÉNON, René, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 1990;
-  LECOUTEUX, Claude, Dizionario di mitologia germanica, Argo, Lecce, 2007;
- WARNER, Elizabeth, Dèi, eroi e mostri della mitologia russa, Mondadori, Milano, 1985;

- Celticpedia, “Il bosco sacro celtico”;
- Bifrost, La quercia gigante”;

mercoledì 7 novembre 2012

I jinn, i geni del male

 A tutti sarà sicuramente capitato di desiderare fortemente qualcosa. Tutti abbiamo dei sogni nel cassetto, delle cose che vorremmo ottenere, fare o identità che vorremmo rispecchiare. In quei momenti o ci rivolgiamo a qualche forza soprannaturale o pensiamo a quanto sarebbe bello avere la lampada di Aladino, con un genio che ci aiuti a raggiungere tutti i nostri scopi senza far fatica.
 Ebbene, oggi qui voglio distruggere l'immagine conciliante e consolatoria del fantastico genio blu elettrico che aiutava Aladdin a conquistare la bella Jasmine. Perché se da una parte i geni esistono davvero nella tradizione araba e musulmana, dall'altra bisogna dire che sono molto lontani dall'immagine del simpatico gigante blu della Disney. Il loro vero nome, poi, non è "genio", ma jinn o djinn.  

Il simpatico genio di Aladdin

Etimologia
 
 Questa denominazione deriva dal verbo arabo jānn, "celare", e in italiano viene appunto tradotta con "genio". In realtà, l'etimologia di questa parola è molto discussa; se alcuni la vogliono ricondurre semplicemente al latino genius, la maggior parte degli studiosi preferisce invece rifarsi alla radice aramaica presente nel termine, che ricondurrebbe al già citato significato di "nascondersi", "occultarsi". Inoltre, non è trascurabile la somiglianza fonetica di jinn con la Gehenna, il luogo infuocato della religione ebraica dove vengono purificate le anime malvagie.

I jinn prima e dopo l'Islam
 
 I jinn erano presenti nel folklore arabo ancor prima dell'avvento dell'Islam, ed erano creature in grado di sprigionare una grande forza malvagia, che poteva essere addirittura letale. Gli storici della religione islamica vedono in queste entità maligne i segni dell'ostilità dell'ambiente in cui vivevano le popolazioni della penisola arabica, in parte sedentarie e in parte nomadi.
 Più avanti, anche l'Islam accetterà l'esistenza dei jinn, attenuando, però, i loro tratti negativi. Con l'Islam, infatti, il jinn non è più una creatura necessariamente malvagia, ma è dotata del libero arbitrio, quindi può scegliere tra il Bene e il Male. Quindi esistono anche dei jinn buoni, convertitisi all'Islam dopo aver ascoltato le parole di Maometto. Questi sono esseri benefici per l'uomo e un esempio lampante si trova nelle Mille e una notte, nella fiaba in cui Aladdin libera il jinn rinchiuso nella lampada, che gli promette di realizzare alcuni suoi desideri. Per quanto riguarda i jinn cattivi, invece, l'Islam crede che possano interferire nella vita umana, ma non con la potenza malvagia di cui si credeva fossero dotati. Dopo l'avvento della religione musulmana, infatti, il jinn cattivo divenne uno spirito simile al poltergeist della mitologia nordica, che infastidiva con dei dispetti gli esseri umani, senza arrivare a essere letale.

La nascita dei jinn 

 L'origine di queste creature viene narrata proprio nel Corano, il libro sacro della religione islamica. In esso si afferma che i jinn sono creature a metà tra il mondo angelico e quello umano, che si differenziano da angeli e umani fin dal momento della Creazione. Infatti, mentre gli angeli nascono dalla luce e gli uomini dalla terra, Allah crea i jinn da un fuoco senza fumo:

Creammo l’uomo con argilla secca, tratta da mota impastata. E in precedenza creammo i Jinn dal fuoco di un vento bruciante 

[Corano XV: 26-27]

 Questi esseri creati dal fuoco vennero mandati da Allah stesso sulla terra contro i primi abitanti del pianeta, che avevano diffuso la corruzione e si uccidevano vicendevolmente. A capo dei jinn c'era il bellissimo Iblis, custode del tesoro del paradiso che risiedeva in cielo durante la notte e sulla terra durante il giorno. Eppure, quando Allah chiese agli angeli di prostrarsi davanti ad Adamo, fu proprio Iblis l'unico a rifiutarsi di farlo, in quanto riteneva l'uomo inferiore a lui perché fatto di terra:

«Eppur Noi vi abbiam stabiliti sulla terra e v'abbiam dato i mezzi per viverci: quanto poco siete riconoscenti!
Eppure vi abbiam creati, poi vi abbiam formati, poi abbiam detto agli angeli: "Prostratevi avanti ad Adamo!"
E si prostrarono tutti, eccetto Iblīs, che tra i prostrati non fu.
E disse Iddio: "Che cosa t'ha impedito di prostrarti, quando Io te l'ho ordinato?"
E quegli rispose: "Io sono migliore di lui. Me Tu creasti di fuoco e lui creasti di fango!"»

[Corano, VII: 10-12]

 Allah decise di punire Iblis per la sua superbia facendolo diventare un ribelle lapidato (shaytān rajim) tanto che il suo nome sarebbe un termine adattato dal greco diàbolos per indicare satana (shaytān) e che significa "afflitto", "disperato". Da quel momento in poi, Iblis cominciò a tentare l'uomo insieme a un esercito di jinn, che vollero seguire la sua sorte.
 Tuttavia, i jinn che dovessero arrecare danno agli esseri umani, verranno ritenuti da Allah responsabili delle proprie cattive azioni il giorno del Giudizio Universale. Quel Giorno, i jinn saranno giudicati allo stesso modo degli uomini, a seconda della condotta tenuta sulla terra. Come gli uomini, dunque, anche i jinn verranno distinti in buoni e malvagi a seconda del loro operato e Allah stesso deciderà a chi spetta il Paradiso e a chi la punizione. 

Azazil, l'angelo ribelle
Tipi di jinn

 Se leggiamo il Corano sembra che i jinn possano in qualche modo rispecchiare l'aspetto umano, perché sono anch'essi dotati di un cuore, occhi, orecchie e voci capaci di sedurre. In realtà, però, i jinn sono costituiti da un materiale simile alla nebbia, che può solidificarsi per assumere fattezze umane o animalesche. Questo è, infatti, uno dei poteri soprannaturali che distingue i jinn dagli esseri umani. Altre caratteristiche che dimostrano la natura prodigiosa di queste creature, sono l'abilità di muoversi a una velocità straordinaria e la facoltà di assumere il controllo delle menti e dei corpi di altri esseri.
 Oltre all'aspetto fisico e ai poteri soprannaturali, tutti i jinn sono poi accomunati dai luoghi dove preferiscono risiedere. Essi infestano le rovine, le case abbandonate, i grandi spazi aperti, come per esempio il deserto, luoghi sporchi e i cimiteri. In generale, i jinn prediligono gli ambienti dove l'ingiustizia si diffonde più facilmente, come posti affollati in cui si scambiano le merci. Da questo dettaglio si capisce che nel folklore arabo queste figure siano ritenute più maligne che benevole, anche se, come si è detto in precedenza, si riconosce l'esistenza di jinn buoni. 

 Nonostante queste caratteristiche comuni, i jinn possono essere distinti in vari tipi diversi tra loro. Nel Corano, Maometto enumera tre categorie di jinn: uno che può volare nell'aria, un altro che penetra nel corpo di cani e serpenti e uno che si sposta all'interno di un luogo limitato.
 Ma le tipologie di questi esseri sono molto più numerose e si distinguono  per delle caratteristiche peculiari. Gli spiriti più semplici, che non hanno tratti distintivi, si chiamano jinni. Gliʿimar (al singolareʿāmir abitano insieme agli uomini. Gli arwah (al singolare ruh) sono in grado di vedere i bambini. I jinn malvagi originati dalla luce o dal fuoco sono considerati satanici e sono chiamati shayatin (shaytān al singolare). I marid sono i jinn più arroganti e orgogliosi, ma possono esaudire i desideri dei mortali, una volta invocati attraverso dei rituali. Questi jinn possono anche essere imprigionati, sempre seguendo dei determinati riti. Ma la categoria più potente e più diabolica è rappresentata dagli ifrit, gli spiriti del fuoco dalle fattezze di uomini dalla forza eccezionale. Gli ifrit sono convinti di essere creature primigenie, perciò si ritengono superiori rispetto al resto del creato. Tuttavia, alcuni uomini hanno trovato il modo di esercitare il proprio controllo sugli ifrit attraverso formule magiche. Ovviamente gli ifrit mal sopportano questa loro condizione, così quando vengono invocati da qualcuno hanno un atteggiamento ironico e malizioso e, quando è possibile, non si fanno scrupoli a travisare gli ordini del proprio padrone.  
 La tradizione islamica riconosce i jinn satanici per alcuni comportamenti molto concreti: mangiano con la mano sinistra, si riuniscono al crepuscolo, prediligono luoghi di decadenza come i cimiteri e i bagni, entrano e vivono in case già abitate da umani, amano la corruzione, l'odio, la disubbidienza e la malvagità. Lo scopo di questi jinn è convincere le persona ad adorare idoli diversi da Allah. 

Un ifrit, lo spirito del fuoco


I ghoul  

 Nell'antico folklore arabo si parla di altre creature diaboliche, annoverate tra i jinn, ma con delle diversità non trascurabili: i ghoul. Costoro sono dei jinn a metà tra demoni e non-morti, dotati di un corpo materiale (e non fatti di nebbia, come i jinn di cui si è parlato in precedenza). Essi si presentano sotto forma di persone emaciate, completamente prive di peli e con lineamenti affilati. Hanno denti appuntiti, pupille enormi e pelle affetta da necrosi coagulativa. Tuttavia, in quanto jinn, anche i ghoul possono mutare forma, in particolare in iene e altri animali necrofagi.
 Sono dei jinn predatori, che danno la caccia a viaggiatori solitari, che possono inseguire anche per giorni interi. La loro vittime preferite sono giovani, o comunque esseri facili da uccidere. Ma non è infrequente che i ghoul ripieghino sulla necrofagia. Essi sono assidui frequentatori di cimiteri e di obitori e spesso profanano i cadaveri delle tombe.
 Queste loro abitudini alimentari li spingono a vivere in luoghi appartati, isolati oppure, con l'avvento della società industriale, nelle reti fognarie e nelle linee della metropolitana, da dove occasionalmente catturano dei senzatetto o dei mendicanti. Ma più vivono in solitudine nutrendosi di corpi morti, più subiscono degenerazioni fisiche che li differenziano dagli esseri umani.


Un ghoul

 Insomma, si tratta di un quadretto molto differente da quello presentato dal film Disney, vero? 
 I jinn sono molto più simili ai nostri diavoletti o, sempre tornando ad Aladdin, al cattivo Jafar, quando assume le sembianze e i poteri da genio. Però dobbiamo dire che, alla luce di quanto si è detto, esistono anche dei jinn buoni, che vivono con gli uomini e che forse addirittura realizzano i desideri.
 Se incontrassi uno di questi jinn buoni forse nemmeno gli chiederei un aiuto concreto, non gli chiederei di realizzare i miei sogni qui e ora. Ma gli chiederei di mostrarmi la strada da percorrere, gli chiederei cosa devo fare, o qualche altro consiglio. Purtroppo, per i giovani ora serve davvero il genio della lampada per trovare il proprio posto nel mondo.


Fonti:
- Wikipedia, voce "Jinn";
- La zona morta, articolo "I jinn, signori dei desideri"; 
- Freeonda-Revolution, articolo "Leggende e misteri sui jinn".