lunedì 14 gennaio 2013

La Gioebia

 Dopo tanti viaggi intorno al mondo, dopo aver scoperto usanze, leggende e riti di culture lontane è ora tempo di tornare nella terra d'origine. Sebbene i Paesi esotici esercitino sempre un'enorme attrattiva (per la serie "l'erba del vicino è sempre più verde"), anche la nostra Italia è piena di miti, di riti folkloristici che magari nemmeno conosciamo. 
 Per cui oggi voglio concentrarmi su una ricorrenza tipica della mia zona, la Lombardia, e del Piemonte. I miei nonni mi hanno ricordato che tra poco ci sarà una festività chiamata Gioebia (si pronuncia Giöbia, qui nel Varesotto). 
 Da noi si festeggia praticamente ogni anno, ma puntualmente non mi ricordo mai in cosa consiste. Allora, grazie allo spunto dato dai miei nonni, che vogliono anche loro scoprire di più riguardo all'origine di questa usanza, ho fatto delle ricerche e ora mi sento pronta per parlare di questa famosa Gioebia.

Origini

 Iniziamo col dire che la Gioebia assume dei nomi diversi a seconda dell'area in cui ci si trova. In Piemonte si dice Giobbia, nella Brianza e nella provincia di Como si parla di Giübiana o Gibiana, mentre altre varianti si discostano ancora di più dal nome originario, come Zobiana o ancora Giünee dalle parti di Plesio.
 Tutte queste denominazioni, però, vogliono indicare il nome del giorno della settimana in cui cade questa ricorrenza: il giovedì, che in dialetto piemontese si dice proprio giobbia. Infatti, la Gioebia si celebra l'ultimo giovedì del mese di gennaio, che quest'anno corrisponde al 31 gennaio.
 
 Le origini della Gioebia, però, rimangono avvolte nel mistero. Alcuni la collegano con il culto di Giunone (da cui deriverebbe l'aggettivo Joviana) o dello stesso Giove (da cui ha origine l'aggettivo Giovia, quindi Giobia), in onore del quale i contadini celebravano le feste di inizio anno per propiziare le forze della natura, ai fini di ottenere un buon raccolto.
 Secondo altri, la Gioebia fa riferimento ai tempi dell'Inquisizione, quando si dava la caccia alle streghe. Altre ipotesi avanzate fanno risalire questa festa alla tradizione celtica e druidica, che aveva l'usanza di bruciare fantocci per ottenere il favore degli dèi in battaglia o nella semina del raccolto. Un'altra scuola di pensiero evidenzia le somiglianze tra la pratica della Gioebia e quella dei primi sacerdoti cristiani, che bruciavano i simulacri delle divinità pagane.

 Nonostante si ignori il significato originario di questa festa, si è certi che il termine Giobia o Giubiana si riferisce a una strega. Si tratta di una personificazione dell'inverno e del gelo, che i contadini volevano scacciare bruciando su un falò il fantoccio raffigurante la Giubiana.
 Quindi, la festa della Gioebia consiste nel bruciare dei fantocci dalle sembianze stregonesche su un falò, preparato appositamente per la sera dell'ultimo giovedì di gennaio. Questo gesto può essere corredato da canti, balli e soprattutto dal consumo di piatti tradizionali, come il risotto e la salsiccia, il tutto innaffiato da vin brulé.
 A seconda della zona, vi sono leggende diverse sul personaggio della Giubiana e di conseguenza anche delle peculiarità nella celebrazione della ricorrenza.

Il fantoccio della Giubiana viene bruciato

La leggenda della Giubiana

 Nei boschi della Lombardia e del Piemonte viveva la Giubiana, una vecchia strega, magra e dalle gambe lunghe, che indossava delle calze rosse. La Giubiana era malvagia e dispettosa, perché spaventava chiunque si inoltrasse nel bosco e, l'ultimo giovedì di gennaio, andava alla ricerca di bambini per mangiarseli.
 Ma una volta una mamma, che non voleva che il proprio bambino diventasse una preda della spaventosa Giubiana, tese una trappola alla strega. Cucinò in un pentolone del risotto allo zafferano con la luganega (una salsiccia) e lo mise sul davanzale della finestra. Il profumino squisito che emanava quel bel piatto attrasse la Giubiana, che mangiò tutto il risotto senza accorgersi che stava sorgendo il sole. La luce mattutina, fatale per le streghe, uccise la Giubiana e il bambino si salvò.

 Un'altra versione della leggenda narra che una madre riempì una bambola di coltelli e forbici e la mise nel letto della figlia, per ingannare la Giubiana. Così, quando la Giubiana arrivò per divorare la bambina, al suo posto ingoiò la bambola. Quando la madre sentì l'urlo agghiacciante della strega, si precipitò nella camera della bambina, e trovò il corpo della vecchia ridotto a brandelli dalle lame delle forbici e dai coltelli.

Usanze del basso Varesotto

 In questa zona si parla di Giöbia e, come già anticipato, vi è l'usanza di bruciare un pupazzo dalle fattezze di una donna anziana per scacciare le forze maligne dell'inverno e propiziare l'avvento della primavera. I cibi che accompagnano il falò variano a seconda del paese: a Busto Arsizio si offrono polenta e brüscit, a Gallarate si mangia risotto e lügànega, mentre a Saronno e dintorni, proprio dove vivo, la tradizione contadina consiglia di mangiare un piatto di lenticchie con il cotechino, che serviranno poi in estate a combattere i fastidiosi insetti dei campi (mosche e zanzare su tutti).

Cantù e  Mariano Comense

 Qui per la ricorrenza si usa il termine Giubiana, ma il rituale del falò per bruciare il fantoccio è simile a quello descritto in precedenza.
 A Cantù (CO), però, non si brucia il pupazzo di una vecchia, ma di una giovane bellissima, che ricorda una castellana che tradì la città nella guerra tra Milano e Como del XII secolo. A quei tempi, Cantù era alleata di Milano e conobbe una pesante sconfitta inflitta dai lariani. Nonostante ciò, Milano vinse la guerra conquistando Como e, memore della condotta delle castellana traditrice, la condannò al rogo. Questa esecuzione viene ricordata ogni anno dalla città di Cantù, che l'ultimo giovedì di gennaio organizza un vero e proprio corteo in costume. Prima della parata, un manichino di donna viene esposto per qualche giorno al ludibrio generale in una piazza. Questo manichino poi, durante il corteo, viene trasportato su un carro, scortato da armigeri, frati e un boia, fino a raggiungere il municipio e la piazza centrale. Lì, dopo aver letto la condanna che la Giubiana deve scontare, viene appiccato il rogo, dove il fantoccio della donna traditrice viene bruciato.
 Bisogna però precisare che si tratta solo di una leggenda, poiché non vi sono prove che attestino la veridicità storica di questa vicenda.

 Una leggenda simile si racconta anche dalle parti di Mariano Comense (CO). Secondo questa versione, un giovedì di gennaio di circa settecento anni fa bussò alle porte del borgo di Canturio una donna talmente bella, che venne scambiata da Padre Lorenzo per la Madonna. La fanciulla, approfittando dell'ingenuità del religioso, lo ipnotizzò e gli ordinò di consegnarle le chiavi della città. La donna potè così aprire le porte ai Visconti, i signori di Milano. In questo modo i milanesi, che avevano già conquistato Marliano (l'odierna Mariano Comense), si impadronirono anche di Canturio. In quanto alla ragazza misteriosa, non si ebbero più notizie e non fu mai fatta chiarezza sulla sua vera identità. Per commemorare questo sfortunato evento, anche a Mariano Comense l'ultimo giovedì di gennaio si brucia su un falò un fantoccio raffigurante una donna, allo scopo di scacciare la sfortuna e di assicurarsi un futuro migliore. 

Canzo e Casorate Sempione

 La celebrazione della Giubiana a Canzo (CO) è particolarmete articolata, perché al processo della donna (immaginaria) in dialetto canzese intervengono numerosi personaggi folcloristici:
- i Regiuu, gli anziani autorevoli del paese che pronunciano la sentenza;
- la fata acquatica Anguana;   
- l'Òmm Selvadech ("Uomo Selvatico"), un personaggio della mitologia alpina.
- l'Urzu ("Orso"), che simboleggia la forza istintiva da domare;
- il Casciadur ("Cacciatore"), che doma e fa ballare l'orso; 
- il Bòja ("Boia"), che rappresenta la condanna del male;
- i Cilòstar ("coloro che reggono i candelabri"), sono persone incappucciate, che incarnano la luce vittoriosa sul Male;
- i Bunn e i Gramm ("Buoni e Malvagi"), interpretati da bambini vestiti di bianco e di nero, con il volto tinto, che suonano le campanelle e fanno rumore con la latta per scacciare il Male;
-l'Aucatt di caus pèrs ("Avvocato delle cause perse"), venuto dal foro di Milano per difendere la Giubiana;
- l'indovino Barbanégra;
- gli Scarenèj, i campagnoli della vicina Scarenna, lagata con i contadini canzesi;
- le Strij piscinitt, delle streghe che incutono timore ai bambini;
- la Cumàr de la cuntrada, che legge il testamento della Giubiana;
- il Diaul ("Diavolo"), che canta un'ode in onore della Giubiana;
- i Pumpiér ("Pompieri"), che sfilano in bicicletta;
- il Pastùr ("Pastore");
- i Buschiröö ("Boscaioli");
- il Carétt di paisàn ("carretto dei contadini");
- il Tràin, una grande slitta con le fascine. 
Ci possono essere anche altri personaggi che non ho menzionato, oltre ad addobbi molto suggestivi. 

 A Casorate Sempione (VA) al falò dove si brucia la Gioebia segue un'usanza molto particolare, chiamata la puscena di dónn, cioè il dopo cena delle donne (dal latino post cenam). Le donne casoratesi festeggiano così la gioebia di dónn, un ritrovo serale tra le donne dei cortili di una volta in cui si raccontano storie, si mangia, si beve, si canta e si balla, senza che siano presenti mariti e figli.
 Pare che durante una di queste occasioni gli uomini, esclusi dalla festa, fecero uno scherzo alle donne, intente a festeggiare con frittelle e vino dolce. I mariti calarono una gamba (probabilmente di animale) dal soffitto del luogo dove erano riunite le donne, intonando un canto con voce cupa e roca:  

Dón, dón, andé a durmì, ghi giald ‘i œcc, i da murì, se vurì mia, che Dìu la manda, guardé in aria ca dúnda la gamba

[Donne, donne, andate a dormire, avete gialli gli occhi dovete morire, se non volete che Dio vi faccia morire, guardate in alto che dondola la gamba] 

 Le donne, terrorizzate, scapparono a gambe levate, lasciando agli uomini il buon cibo che avevano preparato per la gioebia di dónn


 Quella della Gioebia, come si è visto, è un'usanza molto particolare del Nord e testimonia le nostre radici. Per questo, voglio dedicare questo articolo ai miei nonni, nonno Armando, nonna Carla e nonna Giuseppina (chiamata "Pina") e a tutti gli anziani, che sono i custodi importantissimi della nostra tradizione. Anche se ormai ci avviamo alla multietnicità, non dobbiamo dimenticarci chi siamo e da quale realtà proveniamo. Se annulliamo la nostra identità per paura di offendere gli altri, non ci sarà mai un dialogo tra culture, ma solo un monologo. Solo se c'è uno scambio reciproco tra culture potremo arricchirci veramente e sperare di intraprendere il cammino verso un'autentica integrazione. Solo ricordando la nostra identità, le nostre origini, potremo partecipare a questo scambio di culture. Come dice "la Teresa" dei Legnanesi: "un paese che non ha memoria, non ha storia".


Fonti:
- Wikipedia, voce "Giubiana";
- sito Valleolona.com, articolo "Tradizioni e leggende: la Gioebia" a cura di Giuseppe Leo.

5 commenti:

  1. Ho semplicemente adorato questo post meraviglioso, che parla di noi, delle nostre tradizioni.. dei nostri ricordi. Un'atmosfera del tutto particolare, che ricorda 'ul risot gialt cunt la luganega'.. e tante speranze di bambino. Parole sante le tue: mai dimenticare le nostre radici, la nostra storia. Va difesa con tutto il cuore. Grazie, stellina. Mi hai emozionata. E speriamo che ul Gianee quest'ann el faga minga i scherzi ;))) Tvttttttb!

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    1. Ely, se devo dire la verità prima di questo post non sapevo bene cosa fosse la gioebia. Però è giusto che le nostre tradizioni vengano tramandate, è la nostra storia in fondo! Ognuno dovrebbe conservare con cura il proprio retaggio culturale per metterlo in comune con gli altri. Questa è la mia idea di integrazione, dove tutti condividono le proprie usanze, rendendo gli altri partecipi della propria realtà culturale! Se si facesse veramente il nostro Paese si arricchirebbe molto.
      Grazie per il commento, fatina!
      Un bacione grande!

      PS. Povero Giuann, sempre con lui se la prendono...

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  2. Nel mio paese, che mi ricordi, non si è mai festeggiata la Gioebia. Forse non si festeggia più! Di fuochi in questo periodo ricordo solo quello di Sant'Antonio.
    Mi sovviene, però, un aneddoto/storia/leggenda che mi ha raccontato mio nonno. Diceva che ai suoi tempi, quando di mangiare ce n'era poco, un giorno un burlone, per soddisfare l'appetito, ha pensato bene di tendere un tranello a una comitiva riunita a festeggiare in una stalla con un grande banchetto. La sardonica figura si è quindi arrampicata sul tetto del fienile e ha calato la propria gamba pitturata di rosso (o con indosso una calza rossa, non ricordo bene). Fatto sta che i commensali si spaventarono vedendo la gamba rossa e scapparono urlando "la gamba rusa"! L'uomo, da solo, potè così godersi il pasto!
    Il fatto che la Gioebia indossasse delle calze rosse e la storia degli uomini di Casorate Sempione mi hanno fatto venire in mente questa storia, e forse le cose sono connesse tra di loro, come delle diverse interpretazioni di storie e leggende popolari.
    In merito ho trovato questi due link che possono essere utili per capirci meglio:
    http://www.dairago.com/dialetto10.aspx
    http://www.milanoggi.it/pregnana/tradizioni_proverbi.htm (in fondo alla pagina)

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    1. Ma pensa, io invece era la prima volta che sentivo questa storia! Quello che non mi è chiarissimo è di cosa sia fatta la gamba rossa. Nei racconti dei link che hai segnalato è una gamba umana, nel senso che è un uomo che da una botola cala la propria gamba, con addosso una calza rossa. Però da quello che ho letto su Wikipedia non si capisce molto chiaramente...
      Grazie per le segnalazioni, Damianuz!

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  3. Di nulla. Io la conosco con la gamba pitturata o con la calza, non ricordo bene. Ma mi sembra più ovvia la calza rossa. Credo, come ho scritto, che siano interpretazioni diverse della stessa storia.

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