Purtroppo conosciamo le conseguenze terribili del confronto tra Europa e America dopo il 1492. Ciò che invece non conosciamo è la ricchezza culturale delle popolazioni che prima di Colombo regnavano sul continente americano. Nei libri scolastici di storia Maya, Aztechi e Incas sono liquidati in pochi paragrafi e sono citati solo in quanto popolazioni sottomesse dai conquistadores spagnoli. Eppure dietro a questi nomi c'è un mondo che per noi europei rimane tuttora sconosciuto.
Non si tratta di un mondo rose e fiori, né di un mondo di santi innocenti. Ma è un'altra visione della natura e dell'universo che ci circonda che merita di essere conosciuta senza pregiudizi. Ecco perché oggi parlerò di come gli antichi Maya concepivano l'universo.
Il mondo maya
Le popolazioni mesoamericane possiedono un sostrato religioso molto simile. Perciò, il modello dell'universo concepito dai Maya era condiviso anche da altri popoli che vivevano in luoghi limitrofi.
Una delle più importanti fonti maya che ci ha
permesso di ricostruire la struttura del cosmo è il Chilam Balam di Chumayel, il quale ci informa che il mondo era
diviso in tre grandi compartimenti: cielo, terra e inframondo, corrispondente
agli inferi di varie tradizioni mitologiche europee. La terra costituiva una
base quadrangolare su cui si sviluppavano due piramidi a gradoni, con vertici
opposti: il cielo contava tredici scalini, sei ascendenti a est e sei
discendenti a ovest, con il settimo alla sommità della piramide, in modo che il
primo e il tredicesimo gradino, il secondo e il dodicesimo, ecc. si trovavano
sullo stesso livello; l’inframondo, invece, si costruiva su nove gradini,
quattro discendenti e quattro ascendenti disposti in modo speculare rispetto
alla piramide celeste. Ogni gradino era governato da una divinità celeste o
sotterranea, secondo il livello in cui si trovava il gradino; alla sommità
della piramide celeste risiedeva il Canhel[1],
ovvero il principio vitale del cosmo, che coincideva con il dio creatore[2],
mentre il nono livello dell’inframondo era governato dalle divinità della
morte.
Per quanto riguarda la faccia della terra, sia
Maya, sia altre popolazioni messicane credevano che essa fosse posta sul dorso
di un caimano o di un coccodrillo, che galleggiava a sua volta in un immenso
bacino acquatico.
Le quattro direzioni
Un’altra caratteristica peculiare della terra maya è che,
oltre a costituire la base quadrata su cui si sviluppavano la piramide celeste
e dell’inframondo, era divisa in quattro settori. Le linee di divisione
indicavano la traiettoria che compiva il disco solare nel corso dell’anno, che
secondo i Maya era circolare. I punti più importanti della rotta del sole erano
i solstizi e gli equinozi, che determinavano sia la partizione della terra nei
quattro settori, sia la misurazione del tempo, concepito in maniera ciclica proprio
perché rispecchiava la forma dell’orbita percorsa dal sole. La stretta
connessione tra spazio e tempo tipica della cultura maya è dimostrata proprio
dalla concezione quadrangolare e quadripartita della terra: i vertici di questo
quadrato corrispondono alle direzioni di nordest, nordovest, sudest e sudovest,
che non corrispondono solo a punti dello spazio, ma anche alle coordinate
temporali dei solstizi e degli equinozi.
Ogni settore era poi contraddistinto da un
colore simbolico. L’Est era associato al rosso. Questa era la direzione
principale per i Maya, perché era il punto in cui sorgeva il sole, fenomeno che
simboleggiava la forza vitale. Era il punto con cui si identificava il dio sole
e il pianeta Venere, nella veste della Stella del mattino. Il colore rosso
esaltava queste caratteristiche, poiché richiamava il sole, il fuoco, il mais
arrostito, la linfa dell’albero sacro, chiamato ceiba, e il sangue, che insieme agli altri elementi era simbolo di
forza vitale. Quest’ultimo, in particolare, rivestiva un ruolo centrale nei
sacrifici e negli autosacrifici, in cui veniva versato molto sangue per nutrire
la terra e le divinità.
L’Ovest si identificava con il nero. Se l’Est
rappresentava la vita e il sole nascente, l’Ovest simboleggiava al contrario la
morte, la guerra e il mondo dell’oltretomba. Questa è la direzione in cui il
sole tramonta e si accinge a percorrere il suo cammino lungo le viscere della
terra, sotto forma di astro notturno, simboleggiato dal giaguaro. Il nero era
il colore che meglio rappresentava le
idee di morte, di notte e di oscurità, che però non necessariamente erano viste
come aspetti negativi dell’esistenza. Il buio della notte e soprattutto dei
pozzi profondi di acqua torbida dove venivano perpetrati i sacrifici umani,
detti cenotes, erano dei mezzi per
avvicinarsi agli dèi. Molti sacrifici erano infatti celebrati di notte e si
riteneva che chi riusciva a sopravvivere dopo essere stato gettato in un cenote fosse in grado di pronunciare
vaticini. Gli Aztechi, diversamente dai Maya, associavano all’Ovest il colore
bianco e una delle divinità più importanti: Quetzalcoatl.
Il Sud era indicato con il giallo. Vale la pena
evidenziare che, a differenza della cartografia attuale, il punto cardinale che
si trovava più in alto nel mondo maya era l’Est, alla cui destra era di
conseguenza collocato il Sud. Come l’Est, anche il Sud veicolava una simbologia
legata alla forza e alla vita, enfatizzata dal colore corrispondente. Il giallo
è infatti il colore del sole, del fondo del manto del giaguaro e soprattutto
del mais maturo. Questo cereale era la principale fonte di sostentamento per i
popoli mesoamericani, che gli attribuivano degli aspetti divini. Nella
religione maya il mais era protetto da un nume tutelare e venivano svolti
diversi rituali e sacrifici per propiziarsi la fertilità del terreno. Nella
simbologia del Sud e del giallo si ritrova anche il giaguaro, simbolo del sole
nel suo cammino notturno. Gli Aztechi, invece, riservavano al Sud il colore
azzurro e il patrocinio di Huitzilopochtli, dio del sole, della guerra e di
Tenochtitlán.
Il Nord, infine, si accompagnava al bianco. Era il
punto cardinale più lontano, la dimora della Stella Polare, intorno a cui
ruotava l’intera sfera celeste. Da qui arrivavano le preziose piogge che
fecondavano il terreno e rendevano possibile la crescita dei raccolti. Il
bianco era un colore che, sia presso i Maya, sia presso gli Aztechi, era segno
di regalità, purezza e spiritualità. Il bianco appariva anche come aggettivo in
corrispondenza di alcuni luoghi, come “casa bianca”, “montagna bianca”, aventi
una precisa funzione cultuale e una connotazione positiva, in contrasto con
altri luoghi “neri”; le “acque bianche”, chiare, erano utilizzate per le
abluzioni purificatrici, mentre quelle torbide dei cenotes, come abbiamo visto, conducevano alla morte. Un luogo molto
particolare identificato con questo colore era la “Strada bianca”, il nome con
cui i Maya chiamavano la Via Lattea e
che trasmisero anche agli Aztechi. Questi associarono la
Via Lattea al dio Mixcoatl, il “Serpente di
nuvole”. Secondo un’ipotesi non condivisa dagli studiosi, i Maya credevano che la
Via Lattea fosse la strada per Xibalbá, l’inframondo.
A ciascuno di questi quattro settori
corrispondeva una ceiba (l’albero del
cotone selvatico), sulla quale era appollaiato un volatile, un tipo preciso di
mais, di fagiolo e di altra flora e fauna, tutti dello stesso colore della
direzione che indicavano. Sempre nei quattro punti cardinali, erano ubicati i
quattro Bacab, delle divinità antropomorfe che erano incaricate di sostenere il
mondo sulle proprie spalle. Questa quadruplicità non si limitava solo al
livello terrestre, ma si estendeva sia alla piramide celeste, sia alla piramide
sotterranea, di modo che ogni livello delle piramidi sia di quattro colori
diversi. Anche le divinità governatrici dei vari livelli delle piramidi a
gradoni, quindi, sono nello stesso tempo uno e quattro; per esempio Chac, dio
della pioggia, è presente nelle varianti dei quattro colori: rosso, bianco,
nero e giallo.
Il centro del mondo
Oltre a queste quattro direzioni, ve ne era
un’altra fondamentale: il Centro del mondo, che costituiva la quinta direzione.
Il Centro del mondo collegava tutte e tre le zone cosmiche (cielo, terra e
inframondo) grazie a una grande ceiba,
che affondava le radici nell’inframondo e protendeva i rami fino al cielo. Come
nella mitologia germanica, dunque, anche nella tradizione maya ritroviamo il
motivo dell’albero come asse del mondo, che permette la comunicazione e il
passaggio attraverso le zone cosmiche: le anime dei defunti, per raggiungere
Xibalbá, l’oltretomba maya, scivolavano lungo la linfa rossa della ceiba e le divinità, per scendere sulla
terra o salire al cielo, si arrampicavano sui suoi lunghi rami. Ai due estremi
di questa ceiba erano collocati il
dio supremo del cielo, il Canhel, e il dio della morte dell’ultimo livello
dell’inframondo, i due principi opposti che garantiscono l’equilibrio e
l’armonia universale.
Anche il Centro possedeva il proprio colore
caratteristico: si trattava del blu e del verde, probabilmente un’unione tra i
due, dato che i Maya avevano un’unica parola per definire questi due colori
(Yax, in yucateco). Questa mescolanza tra blu e verde era una tonalità molto
particolare, che si poteva ottenere solo mescolando l’argilla e il muschio
presenti nel territorio maya. Per questo, ancora oggi il nome di questa gradazione
è “blu maya”. Questo era il colore che più di tutti veniva utilizzato nei
sacrifici: prima di perpetrare i sacrifici umani, i sacerdoti e le vittime si
cospargevano di un unguento azzurro; nei mesi dedicati al dio della pioggia
Chac, chiamati Yax e Mol, si dipingevano uomini e oggetti con questa tinta, che
probabilmente possedeva un carattere purificatore. Il blu maya rimandava
inoltre all’elemento acquatico, emblema della forza vitale e anche della purificazione.
L’importanza di questo colore era testimoniata anche dalla presenza massiccia
di oggetti di giada, pietra dura che presso i Maya era più preziosa dell’oro
proprio in virtù del rimando spirituale all’acqua e al suo valore purificatore.
I Maya oggi
Questa struttura del cosmo è stata tramandata
dalle popolazioni di stirpe maya fino al giorno d’oggi. È il caso dei Maya
tzotzil, abitanti degli altopiani del Chiapas, in Messico, che hanno conservato
una visione dell’universo molto simile a quella dei Maya classici, che
comprende le due piramidi, la base terrestre quadrangolare e la grande ceiba centrale, sulla quale si
arrampicavano i personaggi e i curatori più importanti per ascendere al cielo
come divinità. Il sole, il Santo Padre, era posto al tredicesimo livello della
piramide celeste e la sua apparizione a est era preceduta da Mukta Ch’on, un
serpente che impersonifica Venere. Anche il tragitto del sole degli tzotzil ha
forma circolare: l’astro sale un gradino della piramide celeste ogni ora a
bordo del suo carro, lungo una strada di fiori, e di notte scompare nel mare
per illuminare il mondo sotterraneo, chiamato Olontik. Infine, come presso i
Maya classici, anche per gli tzotzil il mondo è il risultato della perenne
lotta tra le divinità celesti, benefiche forze positive, e quelle sotterranee,
forze distruttive e negative. In entrambi i casi, bene e male sono due tasselli
imprescindibili per l’equilibrio cosmico.
Questa era l'America prima di Colombo e prima dei massacri da parte dei conquistadores. Nemmeno allora era immune da stermini e da atroci sacrifici umani, perché gli uomini sanno compiere atrocità a prescindere dall'etnia di appartenenza.
Ma per me rimane l'America più autentica, quella che oggi molte volte è dimenticata e sepolta da un'Europa che, a distanza di 522 anni, ancora non ha imparato a conoscere e ad accettare il "diverso".
Fonti:
-
DE LA GARZA, Mercedes, “Origen,
estructura y temporalidad del cosmos” in AA.VV., Religión maya, Editorial Trotta, Madrid, 2002, pp. 54, 68-72;
-
LONGHENA, Maria, Scrittura
maya – Ritratto di una civiltà attraverso i suoi segni, Mondadori, Milano,
2011, pp. 68-73;
-
THOMPSON, John Eric Sydney, La civiltà maya, Einaudi, Torino, 1994,
pp. 276-279.
[1] Mercedes De La Garza ipotizza che questo
appellativo possa derivare da “Arcangelo” o “Angelo”, esseri che anche
nell’immaginario cattolico possiedono ali piumate.
[2] La divinità creatrice era
rappresentata da un serpente piumato. In area maya, il dio che svolge la
funzione di creatore è chiamato Itzamná.
Proprio oggi mio figlio Antonio ha portato a casa una scheda con una lettura sui Maya, su Tepeu e Gucumatz e la creazione del mondo tratto da R. Guarnieri, I miti maya, Fabbri Editori.
RispondiEliminaSe ne sa così poco... bello leggere le tue ricerche
Grazie Erica!
EliminaSono contenta che si inizi a introdurre qualcosa di più sui Maya a scuola. La creazione da parte di Tepeu e Gucumatz è un mito molto affascinante. Nei racconti sulla creazione e nella cosmologia c'è molto della visione del mondo delle popolazioni antiche, credo che siano un bel punto di partenza per studiare e capire civiltà anche molto diverse dalla nostra...