lunedì 11 novembre 2013

Siti mitologici da visitare

 So che è da tantissimo tempo ormai che non scrivo. In questi mesi ci sono stati talmente tanti cambiamenti che non ho avuto praticamente più tempo per scrivere i miei post chilometrici...ne sto preparando uno, ma procede veramente a rilento e non so quando riuscirò a pubblicarlo!

 Però ho voluto scrivere lo stesso per dirvi che ci sono, anche se non sono più presente come prima. Abbiate fede, prima o poi mi farò risentire...

 L'altro motivo di questo post è che vorrei annunciare che sto collaborando con due siti di mitologia, che gli appassionati non possono lasciarsi scappare.
 Se amate i miti e le leggende di tutto il mondo, segnatevi queste due pagine web, perché sono davvero interessantissime ed esaurienti.

 Il primo sito è un'enciclopedia mitologica, il Crepuscolo degli dèi, ideata e realizzata da Cristian Filagrossi. Funziona come una normale enciclopedia on-line, dove si può digitare una voce per trovarne la definizione. Le sezioni mitologiche presenti sono davvero innumerevoli, si va dalla "classica" mitologia greca a mitologie molto meno famose, come quella africana tribale, o afroamericana (con numerosi riferimenti al vudù).
 Vi sono poi dei veri e propri racconti inseriti nel sito, la sezione museale con le immagini e anche notizie su testi mitologici, fonti, e bibliografia.
 In particolare, mi occupo della sezione dedicata alla mitologia maya, inserendo nuove voci o modificandone alcune esistenti. Il tempo purtroppo è sempre poco, ma appena posso sono felice di aggiungere qualcosa!




 Un altro sito che osservavo già da tempo è Bifröst, che mi è stato utilissimo per redigere la mia tesi di laurea. Nonostante questo, solo di recente ho contattato Dario Giansanti, che è uno dei motori del sito e delle sue attività. Anche qui si tratta di un progetto amatoriale, curato da appassionati, che si documentano scrupolosamente riguardo a quanto viene pubblicato. 
 Il sito si struttura in varie aree geografiche e culturali, in cui vengono inseriti i racconti mitologici rielaborati dalla redazione e anche dei saggi interpretativi dei miti, con dei confronti anche con delle tradizioni culturali differenti. Come nel Crepuscolo, anche qui si possono trovare i testi originali, alcuni dei quali tradotti in italiano per la prima volta in assoluto, come Il libro delle invasioni d'Irlanda.
 Per quanto mi riguarda, ho dato pochi giorni fa la mia disponibilità per realizzare una sezione maya, che verrà inaugurata non appena ci sarà materiale sufficiente. Anche qui, il solito problema sarà il tempo, ma piano piano qualcosa verrà fuori! 




 È curioso che entrambi questi siti abbiano scelto un nome che fa riferimento alla mitologia germanica!  
 Bifröst è il ponte arcobaleno che collega il mondo degli uomini, Midgardr, al luogo dove dimorano gli dèi, Asgardr, mentre con "crepuscolo degli dèi" si intende, sempre in area germanica, la fine del mondo o comunque quella che per il mondo norreno è una sorta di Apocalisse.

 Se siete appassionati di mitologia visitate questi due siti, sono davvero formidabili e molto curati! 
 Inoltre sono frutto della passione e dell'interesse gratuito di molte persone, che si adoperano per diffondere la cultura mitologica anche sul web. Ciò è la dimostrazione di come Internet possa essere uno strumento prezioso per la diffusione della cultura!

 Vi auguro allora una buona navigazione in questi siti, non lasciateveli perdere!

Ricordo infine il monito dell'Ulisse di Dante: 


Fatti non foste a viver come bruti, 
ma per seguir virtute e canoscenza

 Tutti noi secondo me dovremmo tenere bene a mente queste parole...

Alla prossima!


venerdì 16 agosto 2013

Buona estate

 Per ora il Giardino chiude i cancelli e rinnova l'appuntamento per settembre.
Purtroppo, come avete notato, non riesco ad aggiornarlo molto spesso a causa di vari impegni sul fronte studioso-lavorativo, ma vi assicuro che il mio pensiero va sempre ai contenuti del blog, ai quali tengo molto. Anche per questo, prima di scrivere un post mi informo accuratamente sulla materia che vado a trattare, motivo per cui i tempi di stesura certe volte sono veramente lunghi.

 Ho già raccolto del materiale sul prossimo post, ma non vi anticipo nulla, sarà una sorpresa...potete tentare di indovinare se volete! ;D

 Intanto vi ricordo che, se desiderate, potete scrivermi per suggerirmi degli argomenti da trattare che vi stanno particolarmente a cuore o che hanno attirato la vostra attenzione.   



BUONA ESTATE A TUTTI!!!!



domenica 28 luglio 2013

I Loa, gli spiriti del vudù

 Tempo fa avevo parlato della religione vudù (cfr. "La religione vudù" in questo blog), i cui riti si trasferirono in America insieme alle moltitudini di schiavi provenienti dal continente nero. Un anno dopo, rieccomi a parlare di questo culto affascinante, che prese piede ad Haiti negli anni del colonialismo, facendo dell'isola uno dei centri principali del vudù.  
 Qui, al suono dei canti e delle danze sfrenate, venivano adorati i Loa, le divinità della religione vudù. Il termine è congolese e significa letteralmente "spiriti"; ad Haiti designava un insieme di esseri soprannaturali dalle caratteristiche più disparate.

 Tipi di Loa

Nell'isola caraibica di Haiti, i Loa si possono distinguere in tre gruppi o "riti" principali:
1. il rito di Rada, che prende nome dalla città di Allada, situata nel grandioso impero di Dahomey (l'attuale Benin). Questi spiriti sono detti anche Loa Ginen, ovvero "della Guinea", e sono i più antichi e autorevoli. In quanto progenitori, sono anche protettivi, benevoli e pacifici, e sono venerati anche nella variante brasiliana del vudù, chiamata Candomblé.
2. il rito di Pedro, invece, fa riferimento a don Pedro, un sacerdote che nella seconda metà del '700 diffuse una danza particolarmente violenta, in cui i partecipanti assumevano polvere da sparo, che causava delle tremende convulsioni. I Loa Pedro portano in sé il peso della colonizzazione. Infatti, questi spiriti sono il risultato della mescolanza degli dèi africani con quelli dei nativi d'America. La rabbia degli schiavi africani è presente anche in questi Loa, che sono particolarmente violenti e aggressivi.
3. il rito Kongo comprende anche le divinità bantu e altro non sono che l'adattamento locale degli spiriti venerati in Angola e Congo. 

 L'adorazione dei Loa

 Nonostante i Loa siano per la maggior parte di aspetto umanoide, impersonificano le forze della natura. Sono o protettori di luoghi particolari, come crocevia, cimiteri, le acque del mare, oppure sono divinità ancestrali.
 Il culto di queste divinità è diretto da un sacerdote, chiamato oungan, o alternativamente da una sacerdotessa, detta mambo. I Loa vengono invocati tramite dei vévé, dei pentacoli magici disegnati sul terreno nei canti e nelle danze che accompagnano il rito. Durante la celebrazione, i nomi dei Loa si mescolano con quelli dei santi cristiani, a testimonianza del sincretismo religioso caraibico. 
 L'oungan o la mambo in questi riti interrogano un individuo che, caduto in trance, si ritiene sia posseduto dalla divinità. Non è raro che il rituale sfoci in orge o danze incontrollate.

 I Loa principali

 I Loa sono molto numerosi e variano a seconda delle zone in cui si pratica il vudù. Qui prenderemo in considerazione i maggiori loa venerati ad Haiti, nei Caraibi.

Legba


 Il Loa principale può essere considerato Eshou-Legba, che nella variante haitiana si riduce a Legba. Si tratta di una sorta di Mercurio africano, protettore delle case, dei loro inquilini, dei mercati e dei villaggi. Come il Mercurio classico, inoltre, svolge la funzione di messaggero tra gli dèi e gli uomini, oltre che di tramite tra l'aldilà e il mondo dei viventi. Questo Loa ha un carattere molto ambiguo: ama gli scherzi, si diverte a provocare liti, a volte sfocia nella trivialità e oscenità e può diventare molto violento se trascurato. Tuttavia, se viene adorato in maniera adeguata, con offerte opportune, diventa mansueto e servizievole, un vero benefattore. Nell'iconografia haitiana, Papa Legba è rappresentato come un vecchietto rattrappito, che cammina aiutandosi con un bastone o una stampella.  

Erzulie

 Un'altra importantissima divinità è Erzulie (o Erzilie), emblema dell'energia vitale femminile, che nel vudù affianca sempre il principio maschile. Questa dea incarna i pregi e i difetti dell'animo femminile: è dunque associata alla bellezza, alla fertilità, all'amore, al matrimonio, alla prosperità economica, ma anche alla gelosia, alla vendetta e alla discordia. A differenza degli altri Loa, a Erzulie non corrisponde nessuna forza elementale, poiché protegge i sogni, le speranze e le aspirazioni di ognuno e anche le abilità artistiche. Erzulie è molto femminile e molto ricca, motivo per cui probabilmente ha la pelle chiara: i bianchi, infatti, erano gli abitanti più danarosi dell'isola. Questo spirito si può considerare benissimo una sorta di Afrodite: ama vestirsi con abiti raffinati, solitamente rossi o blu e spesso si agghinda con gioielli preziosi. Come una dama che si rispetti, dedica molto tempo alla propria toeletta, ama bevande dolci e, per sfoggiare la propria nobiltà, spesso parla francese. È una vera civetta, che ama circondarsi di uomini, rapirli con la sua sensualità e trascinarli nella danza. Non per niente, la dea ha tre mariti: Damballa, Agwe e Ogun. Nonostante Erzulie sia una figura molto provocante, conserva la propria verginità. Il suo, infatti, non è l'amore carnale, legato solamente alla sfera fisica del sesso, ma è l'amore che trascende la terra, l'amore celeste delle alte sfere. Probabilmente è per questo motivo che Erzulie viene sincretizzata nella figura della Vergine Maria. 

Agwe


 Abbiamo prima parlato dei tre mariti di Erzulie, vediamo dunque di chi si tratta. Agwe è il sovrano dei mari e governa non solo la flora e la fauna delle acque, ma anche tutte le imbarcazioni e gli uomini che viaggiano per mare. Coerentemente con l'elemento che controlla, i sacrifici ad Agwe vengono offerti via mare. Il dio viene chiamato con una conchiglia e viene salutato con spugne e asciugamani umidi. Poi si riempie una barca con ogni genere di leccornia di cui è ghiotto Agwe, compreso lo champagne, che viene spinta nel mare, affinché possa saziare il mondo sottomarino. Se la barca affonda, significa che Agwe ha accettato il sacrificio e che proteggerà chi gliel'ha offerto nei suoi viaggi per mare. Viceversa, se la barca si incaglia vicino alla costa, significa che il dio ha rifiutato il sacrificio e si provvederà a placarlo in altri modi, come offrirgli due pecore pianche, animali sacri ad Agwe. Questa divinità viene raffigurata come un mulatto dalla pelle chiara e occhi verdi, i cui simboli sono barchette, remi, conchiglie e piccoli pesci. Viene avvistato in prossimità delle coste, delle rive di laghi e fiumi. Il principio femminile corrispondente ad Agwe è La Sirène, la sua compagna marina.

Damballa


 Uno dei Loa più importanti che abbiamo già citato è sicuramente Damballa, il dio serpente che vive vicino a fiumi, sorgenti, paludi, ma anche sugli alberi. Egli è uno dei Loa più antichi ed è considerato il grande padre celeste, amorevole e affettuoso. Il serpente, infatti, nella religione vudù è simbolo di fertilità; insieme alla sua sposa, Aida Wedo, rappresenta la sessualità, la spinta creatrice che permette al mondo di rinnovarsi e spesso i due sono raffigurati come due serpenti avvinghiati, o associati all'arcobaleno. La sua sacralità è tale che Damballa non ha una vera e propria voce per comunicare con gli esseri umani, ma emette dei suoni molto simili a dei sibili, quasi come a significare che la sua sapienza è talmente grande, che le creature inferiori non possono udirla. Anche se silenzioso, questo Loa rappresenta una presenza confortante, che conferisce ottimismo in chi gli sta vicino. In quanto dio della fertilità, Damballa è connesso alle piogge che consentono la crescita e la prosperità dei raccolti. Il suo colore è il bianco e anche i cibi che gli vengono offerti sono contraddistinti da questo colore: uova, farina di granoturco, riso, banane, uva e meloni. Il sacrificio per Damballa di solito è composto da un gallo e da una gallina. Se una coppia di sposi lo riverisce adeguatamente, si dice che il dio li ricompensi con una vita felice.

Ogoun


L'altro Loa che abbiamo nominato parlando di Erzulie è Ogoun, il potente dio del ferro e della guerra, per questo associato idealmente con l'elemento terra. È uno spirito molto rispettato e temuto, poiché ha un'indole particolarmente violenta e aggressiva, essendo il patrono delle azioni belliche. Egli è anche il protettore delle attività manuali e della creatività scientifica, poiché è il fabbro dei Loa; non c'è da stupirsi, dunque, che sia venerato da coloro che lavorano i metalli (i fabbri) e da chi ha a che fare con oggetti di metallo o tecnologici (meccanici, autisti e persino fotografi). Ogoun è rappresentato ricoperto di ferro, che lo rende immune alle armi nemiche, e brandisce una spada o un machete, le sue armi tradizionali. Questo Loa è molto ghiotto di rhum, come tutti i componenti della sua famiglia che, pur essendo grandi bevitori, non risentono degli effetti dell'alcool. Le altre sue grandi passioni sono il tabacco e le donne. Il suo colore è il rosso, come rossi sono gli animali che si sacrificano a lui: maiali e galletti rossi. Se opportunamente venerato, questo Loa può convertirsi in un importante protettore contro le ferite da arma da taglio o da fuoco.

 Da ultimi, non possiamo non nominare i Ghede (o Guede), le divinità dell'oltretomba, che raccolgono un nutrito numero di Loa. Questi spiriti vivono nei cimiteri e durante la notte sono soliti visitare le chiese cattoliche. Il 2 novembre di ogni anno, i fedeli visitano i cimiteri e accendono delle candele in loro onore. I loa più importandi di questo gruppo sono senza dubbio Papa Ghede e Baron Samedi, che rappresentano le due facce della stessa medaglia: la morte. 

Papa Ghede/Baron Samedi


 Papa Ghede (o Papa Guede) è considerato la "faccia buona" della morte, che spesso appare agli incroci delle strade. È un Loa molto amato, perché porta sempre con sé gioia e allegria. Papa Ghede, infatti, ama ridere e scherzare, oltre che cantare e danzare. La sua indole non è né buona né cattiva, ma in ogni caso riesce a far divertire gli umani coi suoi modi da vero clown. Oltre alla morte, Papa Ghede controlla anche la resurrezione; quindi la morte non è intesa come una fine, ma come l'inizio di un ciclo, di un rinnovamento. Se Legba controlla il passaggio dalla vita alla morte nel regno dei viventi, Papa Ghede si occupa del defunto dall'ingresso nell'oltretomba in poi. Paradossalmente, questo psicopompo è caratterizzato da un grande vitalismo: ama bere e fumare sigarette ed è anche il dio dell'erotismo, inteso però in modo molto diverso dalla sensualità di Erzulie. Se la passionalità di Erzulie è associata all'amore, quella di Papa Ghede trascende sia il bene, sia il male e rappresenta l'aspetto più carnale del sesso. Spesso Papa Ghede sfocia nell'oscenità nel suo contegno, canta canzoni triviali, usa parole sconce, esegue danze lascive. Probabilmente questo aspetto del dio vuole affermare che esiste la vita anche nella morte. Papa Ghede è anche il Loa protettore dei bambini, che li soccorre quando sono malati, perché odia vederli morire. Il simbolo di questo loa è una croce su una tomba, e il suo colore rappresentativo è il nero. È ghiotto di aringhe, peperoncini piccanti e banane, e gli vengono sacrificate capre e galline nere. 

 Baron Samedi, forse più conosciuto rispetto a Papa Ghede, rappresenta invece l'aspetto più cupo della morte ed è il capo dei Ghede. Come il suo alter ego, è gioviale e scherzoso, ma è più cinico e parla con la voce nasale degli zombie. I suoi attrezzi da lavoro sono il piccone e la zappa per scavare tombe e quando appare indossa uno smoking nero, un paio di occhiali con lenti scure e un cilindro. È strettamente connesso alla magia nera, agli oscuri rituali vudù che vogliono nuocere a qualcuno. In questo senso, protegge coloro che hanno incontrato la morte per aver subito una di queste potenti maledizioni ed è invocato dai vivi che ne soffrono: se Baron Samedi si rifiuta di scavare la tomba a chi è vittima di una maledizione, significa che questo non morirà. Egli rappresenta il primo contatto con l'oltretomba, in quanto signore e padrone del cimitero e si accompagna alle anime dei morti. Molto spesso, Baron Samedi è associato con Papa Ghede, tanto che è difficilissimo distinguerli nettamente.



 Questi sono solo alcuni tra i moltissimi Loa che si venerano ad Haiti. Purtroppo dare spazio a tutti era impossibile, qui sono illustrati i più importanti. È impressionante notare come certe divinità siano molto simili a quelle che adoravano gli antichi Greci e Romani, che costituiscono la nostra base culturale. Eppure, nonostante le somiglianze, i Loa mantengono caratteri inediti, propri della cultura africana, anche se molti sono sincretizzati con figure di santi cristiani. Ma è proprio questa mescolanza di culture che rende il vudù affascinante: all'interno di questi riti si può individuare l'identità di tutti i popoli che hanno contribuito a tramandare questo culto. Ed è proprio questo che ha permesso al vudù di sopravvivere fino ai giorni nostri. 




 Mi dispiace essere mancata per così tanto tempo. Mi ci è voluto molto per prepararmi su quanto ho esposto oggi e ci sono molti altri impegni che al momento non mi danno tregua. È la gavetta dei laureati purtroppo, sto cercando di lavorare e di studiare per trovare un posto nel mondo. Spero che questa fatica mi porti a qualcosa...ma non rinuncio alle mie passioni!
 Per questo vi assicuro che tornerò, anche se non in maniera costante come ho fatto fino a poco tempo fa.
 A presto! 



Fonti:
- Wikipedia, voce "Loa (Vudù)";
- Il crepuscolo degli dèi, voce "Loa";
-  BURZIO, Mauro, Viaggio tra gli dèi africani: riti, magia e stregoneria del Vodoun, Mondadori, Milano, 2005.

martedì 18 giugno 2013

Festa delle religioni

Abitate nelle vicinanze di Saronno?

Allora non perdetevi la 

FESTA DELLE RELIGIONI 

che si terrà
sabato 22 giugno
alle ore 18.00
in Corso Italia, 
nella piazza davanti alla chiesa dei SS. Pietro e Paolo

Se venite, non dimenticatevi di fare un salto al banchetto dell'Associazione Maruti.
Vi accoglieremo con del the alla menta e, se volete, potete farvi tatuare dei disegni con l'henné.



Il tutto sarà preparato dalle nostre donne, protagoniste del progetto "Donne mediatrici di cittadinanza"; con il loro the e l'henné applicato con le loro mani, ci trasporteranno in Paesi esotici, come Marocco e Pakistan.


Accorrete numerosi!



giovedì 6 giugno 2013

OnLine Link Party


Dopo Kreattiva, ho scoperto grazie a Ciondoli e Capricci un altro sito dove è stata organizzata un'iniziativa molto simile!
Si tratta di OnLine-Fashion Gastro Blog, che con il suo Link Party ha messo a disposizione uno spazio per far conoscere vari blog.


Se siete interessati, ecco dove dovete andare! ;)

martedì 28 maggio 2013

Il gigante d'argilla: il golem

 "polvere sei e polvere tornerai!"
 [Genesi 3, 19] 

 Queste sono le parole con le quali Dio maledice Adamo dopo che questi, insieme alla moglie Eva, si era cibato del frutto proibito.
 Una frase senza dubbio suggestiva, che ogni volta che viene pronunciata rammenta al genere umano le sue umili origini. Secondo la Bibbia, infatti, l'uomo venne creato con la terra e con la saliva di Dio. Provate a pensare al suolo su cui camminiamo ogni giorno, che giace al di sotto del cemento nelle città o che è soffice e malleabile in campagna. Pensate alle cavità che portano nel profondo della terra, oscure e a volte pericolose. Questo elemento è sempre stato percepito come uno dei cardini del mondo e per questo è presente in svariati modi nelle tradizioni mitologiche antiche. Molte creature immaginarie erano ritenute di origine ctonia, ovvero legate alle viscere della terra. Questo elemento sarà protagonista del post di oggi, perché voglio presentarvi uno degli esseri che da essa trae origine: il golem

Etimologia

 Probabilmente la parola deriva dall'ebraico-aramaico gelem, che significa "materia inerte", "embrione", "materia grezza". Si tratta di un termine che compare nella Bibbia, nella parte dell'Antico Testamento, al Salmo 139, 16:

I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo
e nel tuo libro erano tutti scritti
i giorni che mi eran destinati,
quando nessuno d'essi era sorto ancora.


 Siamo nello stadio intermedio della creazione dell'uomo, quando Dio ha già creato il corpo dell'essere umano, ma non gli ha ancora infuso l'anima. Si tratta dunque di un richiamo alla creazione di Adamo, il primo uomo, progenitore di tutta l'umanità. 
 La stessa parola è riportata nel Talmud, un altro importante libro della religione ebraica che contiene la legge orale, completamento della Torah, la legge scritta. Anche in quest'opera la parola gelem compare nel commento all'episodio della creazione,  per definire un uomo allo stato primordiale, una sorta di embrione ricavato dal fango prima di ricevere il soffio vitale da Dio.
 È particolarmente significativo che, al giorno d'oggi, la parola ebraica golem sia usata anche per identificare un robot. In yiddish, però, il vocabolo fa riferimento a uno sciocco.

La parola che dà vita

 La concezione del golem è profondamente radicata alla Cabala, una dottrina esoterica e mistica ebraica secondo cui ogni elemento del creato deriverebbe dalla scomposizione e composizione dei numeri e delle lettere dell'alfabeto ebraico, soprattutto da quelle che compongono il nome di Dio. Perciò la cultura ebraica ritiene che all'origine dell'universo vi sia la parola.

 La parola che dà vita è anche alla base della creazione di un golem; solo chi veniva a conoscenza dei misteri della Cabala e dei poteri legati al nome di Dio poteva generare questo gigante di fango. Costui si anima quando sulla sua fronte vengono tracciati i segni Aleph, Mem e Thau (אמת), gli stessi segni che nella Cabala compongono il nome di Adamo. 
 Un'altra tradizione sostiene invece che la lettura di questi tre segni dovrebbe essere "Emet", cioè "verità".  
 In qualsiasi modo si legga, questa parola non serviva solo a dare vita alla creatura, ma anche a togliergliela.  Quando si voleva neutralizzare un golem, infatti, bastava cancellare dalla sua fronte il primo dei tre segni, Aleph [ricordiamo che la scrittura ebraica procede da destra a sinistra, quindi Aleph rappresenta il primo segno a partire da destra NdA]. I segni rimanenti, Mem e Thau, formavano la parola Meth, "morte" (מת), che segnava la fine del gigante d'argilla, il quale si decomponeva all'istante.



Le leggende sul golem

 Da queste premesse, nel corso dei secoli sono nate varie leggende sul golem, in cui questo gigante di fango ricopriva ruoli sempre diversi: da fedele servitore domestico del padrone (colui che lo aveva creato), difensore della comunità ebraica, ma anche un mostro simile a Frankenstein, che sfugge al controllo del suo creatore. Tutte le varie leggende, però, presentano il golem come una creatura dotata di straordinaria forza e resistenza a cui un uomo colto ed esperto nei misteri dell'alfabeto ebraico dava vita. Nonostante la sua forza incredibile, il gigante d'argilla non aveva la facoltà di pensare, di parlare e di provare sentimenti, poiché privo di anima. Il golem diveniva così schiavo del suo creatore, che gli dava ordini scritti su dei foglietti di carta riposti poi nella bocca della creatura. In ogni caso, la creazione del golem era ritenuta una forma di magia, solitamente nera.

 Una delle fonti più antiche che parlano dell'esistenza di un golem è rappresentata da Ahimaaz ben Patiel, cronista del XII secolo, che ci parla della scoperta nei pressi di Benevento di un esemplare di questa creatura da parte del rabbino Ahron di Baghdad. Si trattava di un giovane che visse nel IX secolo e a cui era stata donata vita eterna grazie a una pergamena. Sempre Ahimaaz, ci informa che nel IX secolo, nella città di Oria, abitavano dei saggi ebrei in grado di creare golem. Questi, però, in seguito a un'ammonizione divina, smisero di praticare questa attività.

 Ma è intorno al XVI e XVII secolo che le leggende sul golem si moltiplicano.
Curioso è l'episodio che ha per protagonista il rabbino Salomon Ibn-Gabriol di Valencia, il quale nel 1508 creò una versione femminile del golem. A causa di questo, Salomon venne accusato di stregoneria dal sovrano spagnolo, che era un fervente cattolico, e quindi condannato alla pena capitale. Ma il rabbino si salvò mostrando come la creatura diventasse inoffensiva appena si fosse cancellata la parola scritta in fronte. Il golem divenne polvere e Salomon non venne giustiziato.
 Nella Polonia del XVII secolo, una lettera recante l'anno 1674 riferisce la vicenda del rabbino Elijah Ba'al Schelm di Chelm, che diede vita a un golem, il quale divenne talmente grande che il suo padrone perse il controllo su di lui. Tuttavia, il rabbino riuscì a convincere la propria creatura a togliergli le scarpe. Mentre il golem era chinato verso di lui, Elijah cancellò l'Aleph dalla fronte del gigante, che cadde all'istante travolgendo anche colui che l'aveva creato.

 La leggenda più famosa sul golem però è ambientata nel ghetto ebraico di Praga, che riprende la versione polacca del golem di Chelm. Erano gli anni del regno di Rodolfo II, a cavallo tra il XVI e XVII secolo e a Praga viveva il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel, che fabbricava golem per sfruttarli come suoi servi. Un giorno, però, il rabbino perse il controllo di uno dei suoi giganti, che iniziò a distruggere tutto ciò che incontrava. Questo golem, però, divenne il difensore della comunità ebraica nella città di Praga, che durante il regno di Rodolfo II attraversò un momento di particolare prosperità. 



 Il golem ebraico è un antenato della creatura del dr. Frankenstein, che porrà i primi quesiti sui limiti della scienza. Per non parlare dei robot, figure che spopoleranno nella letteratura fantascientifica del '900.
 Se il golem è una figura che si ricorda anche oggi, magari nelle vesti di una macchina impazzita che vuole distruggere il genere umano, significa che il messaggio che veicola questa figura è più che mai attuale: l'uomo non può sostituirsi a Dio, nemmeno se il suo potere si chiama scienza.


Fonti:
- Wikipedia, voce "Golem";
- Scrittura Immanente, "Il golem";
- Il crepuscolo degli dèi, voce "Golem"; 
- CALABRESI, Stelio "La leggenda del golem".

domenica 26 maggio 2013

Fatti conoscere su Kreattiva

Grazie a Queen Flora ho scoperto questa bellissima iniziativa promossa da Kreattiva.
Si chiama Fatti Conoscere su Kreattiva e credo che sia molto utile per chi, come me, è ancora una neofita di Blogger e che non ha molte conoscenze.
Spargete la voce se siete interessati!


mercoledì 8 maggio 2013

Tiresia: le avventure di un indovino

 Futuro. 
 In questa parola si condensano tutte le nostre aspirazioni, speranze, paure. Tanti di noi vorrebbero sapere cosa ci riserva il nostro fato. Quest'ansia, prima di noi, tormantava anche i nostri antenati, che desideravano ardentemente conoscere quello che sarebbe avvenuto. Perciò, in ogni cultura erano presenti figure che avevano il dono della preveggenza, rispettate da tutti.
 In particolare, nella mitologia greca si trovano tanti indovini e veggenti, le cui profezie annunciavano il fato ineluttabile di chi li consultava. Ma uno di questi ha una storia davvero curiosa, che ho sentito di recente durante le letture di Roberto Benigni della Divina Commedia. Così oggi mi piacerebbe condividere con voi la storia di uno degli indovini più importanti dell'antica Grecia: Tiresia.   

 Come Tiresia divenne veggente

 Figlio di Evereo e della ninfa Cariclo, Tiresia visse a Tebe, una città infelicemente protagonista nella mitologia greca a causa delle sue numerose disgrazie. L'indovino tebano all'inizio era un uomo come tanti altri, finché un giorno, passeggiando sul monte Citerone (o il monte Cillene, come riferiscono altre versioni), incontrò due serpenti che si stavano accoppiando. Infastidito dalla scena, Tiresia colpì la femmina e in quel preciso momento si trasformò in una donna.
 Da quel momento, Tiresia visse nei panni femminili per sette anni, sperimentando ogni tipo di piacere. Finché un giorno si imbatté di nuovo in due serpenti nel bel mezzo di un atto amoroso. Forse memore di quanto era accaduto sette anni prima, Tiresia stavolta colpì il maschio e tornò a essere un uomo.     

 Questa curiosa esperienza arrivò anche agli orecchi degli dèi dell'Olimpo. Una volta, tra Zeus ed Era sorse una disputa su quale dei due sessi provasse più piacere durante l'amplesso: il padre degli dèi sosteneva che fossero le donne a trarre il maggior beneficio, mentre Era insinuava che fossero gli uomini. Siccome nessuno dei due voleva cedere, entrambi decisero di interrogare Tiresia in merito, dato che egli aveva sperimentato entrambe le condizioni. Egli rispose che, se il piacere si componesse di dieci parti, alla donna ne spettano tre volte tre, mentre all'uomo una sola.
 Alle parole di Tiresia Era, che non voleva che il segreto del genere femminile fosse svelato, si infuriò a tal punto che per punizione gli tolse la vista. Ma Zeus, che non aveva scordato che Tiresia l'aveva aiutato ad avere ragione della moglie, gli diede il dono della profezia e gli concesse di vivere per sette generazioni. 


Tiresia colpisce i serpenti

 Un'altra versione del mito afferma che fu Atena a togliere le vista a Tiresia. Questi era un giovane pastore quando sorprese Atena nuda mentre faceva il bagno insieme a sua madre, la ninfa Cariclo. La vergine Atena divenne una furia e, sfiorando gli occhi del giovane, gli tolse la vista. Tuttavia Cariclo intervenne in difesa del figlio e le sue suppliche ammorbidirono il cuore della dea, che conferì a Tiresia il dono della profezia e un bastone di corniolo per individuare gli ostacoli che avrebbero intralciato i passi del cieco.  

 La morte
 
 Sulla morte di Tiresia esistono diverse versioni mitologiche, che si ricollegano tutte alla spedizione degli Epigoni contro Tebe.  In passato, già sette grandi eroi avevano combattuto contro la città, come racconta Eschilo nei Sette contro Tebe, e dieci anni dopo i loro figli tornarono a Tebe per vendicarne la morte. 
 Si dice che durante l'attacco degli Epigoni Tiresia fuggì dalla città insieme alla figlia Manto, anch'ella profetessa. Ma durante la fuga, l'indovino bevve dalla fonte Telflussa dell'acqua gelata, che gli causò una congestione polmonare, portandolo alla morte.
 Un altro mito racconta che gli Epigoni riuscirono a fare prigionieri Tiresia e Manto, ma che, nutrendo un profondo rispetto per i due veggenti, scelsero di mandarli a Delfi per consacrarli al dio Apollo. Ma Tiresia, già ultracentenario, morì di stanchezza durante il viaggio, ancor prima di giungere nella città sacra ad Apollo. 

 La natura di Tiresia era talmente prodigiosa che l'indovino persuase Ade, il signore dell'oltretomba, a mantenere la facoltà della divinazione anche da morto. Ciò è evidente nel libro XI dell'Odissea di Omero, dove Ulisse incontra l'ombra di Tiresia nel suo viaggio nell'aldilà. L'indovino in questa occasione svela all'eroe il motivo delle sue infinite peregrinazioni: Poseidone gli era ostile, perché Ulisse aveva ucciso il figlio Polifemo. Tuttavia, Tiresia annuncia anche che l'eroe sarebbe riuscito a tornare alla sua amata Itaca.     


Tiresia e Ulisse

 Tiresia nella letteratura

 Le apparizioni di Tiresia nel mondo letterario sono davvero molte, poiché il tebano è ritenuto l'indovino per antonomasia.
 La storia della sua trasformazione è raccontata dal poeta latino Ovidio nel libro III delle Metamorfosi:

 Mentre in terra avvenivano per volere del fato queste cose
e l'infanzia di Bacco, tornato a nascere, scorreva tranquilla,
si racconta che, reso espansivo dal nèttare, per caso Giove
bandisse i suoi assilli, mettendosi piacevolmente a scherzare
con la sorridente Giunone. "Il piacere che provate voi donne",
le disse, "è certamente maggiore di quello che provano i maschi."
Lei contesta. Decisero di sentire allora il parere
di Tiresia, che per pratica conosceva l'uno e l'altro amore.
Con un colpo di bastone aveva infatti interrotto
in una selva verdeggiante il connubio di due grossi serpenti,
e divenuto per miracolo da uomo femmina, rimase
tale per sette autunni. All'ottavo rivedendoli nuovamente:
"Se il colpirvi ha tanto potere di cambiare", disse,
"nel suo contrario la natura di chi vi colpisce,
vi batterò ancora!". E percossi un'altra volta quei serpenti,
gli tornò il primitivo aspetto, la figura con cui era nato.
E costui, scelto come arbitro in quella divertente contesa,
conferma la tesi di Giove. Più del giusto e del dovuto al caso,
a quanto si dice, s'impermalì la figlia di Saturno e gli occhi
di chi le aveva dato torto condannò a eterna tenebra.
Ma il padre onnipotente (giacché nessun dio può annullare
ciò che un altro dio ha fatto), in cambio della vista perduta,
gli diede scienza del futuro, alleviando la pena con l'onore.
Così, diventato famosissimo nelle città dell'Aonia,
Tiresia dava responsi inconfutabili a chi lo consultava.
  
 La figura di Tiresia, però, ebbe fortuna anche dopo l'età classica. Nel Medioevo l'indovino tebano viene descritto da Virgilio nei versi di Dante Alighieri:

Mira c'ha fatto petto de le spalle:
perché volle veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle.


Vedi Tiresia, che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne
cangiandosi le membra tutte quante;


e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
che riavesse le maschili penne.

 
 Siamo nel canto XX dell'Inferno, tra i maghi e gli indovini, colpevoli di adulterare le cose naturali con il loro intervento. Come contrappasso, i dannati sono condannati a vagare con la testa ruotata dietro la schiena, poiché in vita si erano spacciati come coloro che erano in grado di vedere oltre il presente.   
Maghi e indovini nell'Inferno dantesco

 Un'eco del celebre indovino tebano si ode anche nei versi del poema più importante del XX secolo, la Terra desolata di Thomas Stearns Eliot. Qui però Tiresia simboleggia la destituzione dell'indovino dalla propria sacra funzione; il veggente non riesce più a vedere il futuro, riesce solo ad annunciare la morte.


 Uomo, donna, cieco veggente, dannato con la testa rivolta dalla parte della schiena, indovino fallito. Il povero Tiresia ne ha passate di tutti i colori. Ecco perché, pur non essendo un vero e proprio protagonista nei miti greci, credo che meriti di essere conosciuto.



Fonti:
- Mitologia e...dintorni, voce "Tiresia";
- Wikipedia, voce "Tiresia";
- Il crepuscolo degli dèi, voce "Tiresia";
- OVIDIO, Le metamorfosi, in Mitologia e...dintorni
- ALIGHIERI, Dante, Divina Commedia.

sabato 27 aprile 2013

Il Quinto Sole



Il nuovo mondo, però, non aveva ancora un sole che lo illuminasse, perché il Quarto Sole era andato distrutto durante il diluvio. Gli dèi si radunarono a Teotihuacán e si chiedevano chi si sarebbe incaricato di diffondere di nuovo la luce nel mondo. Il primo a offrirsi fu il bello e baldanzoso Tecuciztecatl. Tutti gli altri si guardavano l’un l’altro, ma nessuno si faceva avanti. Alla fine, esortato dagli altri, si presentò un dio malato di sifilide e dall’aspetto non proprio gradevole, chiamato Nanahuatzin.
 Sia Tecuciztecatl che Nanahuatzin dovevano superare delle prove, per diventare il Quinto Sole. Cominciarono entrambi con la cerimonia di espiazione di quattro giorni e quattro notti, durante i quali i due digiunarono e fecero penitenza. Sulla sommità di due piramidi, erette appositamente per il rituale, Tecuciztecatl e Nanahuatzin accesero ciascuno un fuoco per offrire in sacrificio dei doni agli dèi. Tecuciztecatl, abbigliato con splendide vesti, offrì agli dèi quanto vi era di più prezioso: anziché i tradizionali rami di abete, presentò delle costose piume di quetzal; invece di balle d’erba, si procurò balle d’oro; sostituì le solite spine di agave cosparse di sangue con pietre preziose, come la giada e il corallo. Al contrario, Nanahuatzin era il ritratto dell’umiltà e della modestia. Vestito di cenci, presentò come sacrificio delle semplici canne raccolte in piccoli fasci, delle palle di erba, delle spine di agave intrise del suo stesso sangue e le croste delle proprie piaghe, che bruciava come incenso.
 Quando la cerimonia di espiazione ebbe termine, gli dèi condussero Tecuciztecatl e Nanahuatzin presso un grande falò. Tutti si disposero a cerchio e, avvicinatisi a Tecuciztecatl, gli intimarono: “Gettati tra le fiamme!”. “Obbedisco”, rispose impassibile e baldanzoso Tecuciztecatl. Ma quando prese la rincorsa e arrivò vicino alle fiamme, si intimorì per il calore insopportabile che queste emanavano e si ritrasse. Tentò quattro volte di saltare nel fuoco ardente, senza riuscirci.
 A questo punto, gli dèi rivolsero la stessa richiesta a Nanahuatzin. Questi raccolse tutto il coraggio che aveva, prese la rincorsa e…si gettò nelle fiamme. Il suo corpo piagato scoppiettò a contatto con il fuoco e scomparve. Con il suo gesto impavido, l’umile e deforme Nanahuatzin si guadagnò il diritto a diventare il Quinto Sole.

Nanahuatzin si getta nel fuoco

 Colpito nell’orgoglio, anche Tecuciztecatl alla fine prese la rincorsa e sparì tra le fiamme. Si dice che subito dopo saltarono nel fuoco prima un’aquila e poi un giaguaro. Da allora, le punte delle piume dell’aquila sono color nero bruciato e il mantello del giaguaro è coperto di macchie nere. Da questo episodio nacque l’usanza di chiamare i migliori guerrieri “aquila-giaguaro”, premettendo l’aquila perché si era gettata nel fuoco prima del giaguaro.
 Dopo che Tecuciztecatl e Nanahuatzin erano bruciati nel fuoco, gli dèi attendevano frementi la nuova alba. Il cielo rosseggiava e tutti si guardavano intorno, impazienti di vedere dove sarebbe sorto il nuovo Sole. E finalmente, a est, ecco spuntare Nanahuatzin, tanto splendente che nessuno riusciva a guardarlo in volto.
 Subito dopo, accanto all’astro del giorno, apparve anche Tecuciztecatl, nelle vesti della Luna. Siccome non voleva essere da meno di Nanahuatzin, anche Tecuciztecatl brillava intensamente, tanto che gli dèi temettero che la Luna potesse superare il Sole in splendore. Così, una divinità afferrò un coniglio e lo lanciò sulla faccia della Luna, rendendo la sua luce meno forte di quella del Sole. Se ci fate caso, infatti, la forma dei crateri e dei mari della Luna è simile a quella di un coniglio. 




 Non importa lo sfarzo, l'arroganza, la sicurezza di sé. Quello che conta veramente è l'umiltà. Perché "anche la persona più piccola può cambiare il corso del futuro" (J. R. R. Tolkien).



 Fonti:

- GANERI, Anita, Miti aztechi e maya – Una raccolta di arte, storia e leggende centroamericane, IdeeAli, Cornaredo (MI), 2008;
- MORALES, Vinicio E., Miti maya e aztechi, Xenia, Milano, 1993;
- Wikipedia, voce "Cinque soli".

domenica 21 aprile 2013

I primi quattro soli

 E anche oggi cade la pioggia. Da qualche giorno sembra che il sole non voglia più uscire da dietro queste nuvole grigie. 
 Ma che ci possiamo fare? In fondo la primavera è anche questo: non solo il tepore e il primo caldo portato dal sole, ma anche temporali e burrasche improvvise, vento che scompiglia i capelli e che porta via gli ombrelli.
 Una cosa, però, si può fare. Voglio raccontarvi una leggenda che parla del sole. Chissà, magari la storia sarà propiziatoria! ;)
 Questo mito è uno dei più celebri nel mondo azteco: è la leggenda dei Cinque Soli e si colloca tra i miti cosmogonici più importanti dell'America centrale. Ora facciamo uno sforzo e immaginiamo di tornare indietro, indietro, fino a quando non esisteva niente.

 Il mondo era immerso in un’oscura tenebra. Nulla esisteva, se non un’immensa volta celeste nera. Ometeotl, il grande creatore, viveva al tredicesimo livello del cielo, il più alto. Egli generò con Xochiquetzal quattro figli, i quattro Tezcatlipoca: Quetzalcoatl, il Tezcatlipoca Bianco dell’Est, dio del vento; Huitzilopochtli, il Tezcatlipoca Blu del Sud, dio della guerra; Xipe Totec, il Tezcatlipoca Rosso dell’Ovest, dio dell’oro, dell’agricoltura e della primavera; e infine il Tezcatlipoca Nero del Nord, conosciuto con il nome di Tezcatlipoca, dio della notte, della magia e della Terra.  

Ometeotl e i quattro Tezcatlipoca

 Solo dopo seicento anni i quattro Tezcatlipoca si incontrarono e decisero di dare inizio alla creazione. Furono Quetzalcoatl e Huitzilopochtli a disporre le cose secondo un ordine. Essi crearono il fuoco e la prima coppia di esseri umani: Oxomoco, il primo uomo, e Cipactonal, la prima donna. Quetzalcoatl e Huitzilopochtli ordinarono loro di coltivare la terra e in più la donna, Cipactonal, doveva filare e tessere. A lei gli dèi diedero anche dei chicchi di mais, che le avrebbero conferito il potere di guarire le malattie, predire il futuro e fare incantesimi. Da Cipactonal e Oxomoco doveva avere origine la razza umana, destinata non al piacere e alla gioia, ma al lavoro, per volere degli dèi. Poi i due Tezcatlipoca stabilirono il calendario sacro e collocarono il regno dei morti a Mictlan, dove trasferirono il Signore e la Signora dell’inframondo. Dal tredicesimo cielo, Quetzalcoatl e Huitzilopochtli continuarono la creazione; scendendo verso il basso fecero l’acqua e, al suo interno, posero un grande coccodrillo, chiamato Cipactli. Verso la fine della creazione fu necessario il potere anche degli altri due Tezcatlipoca, Xipe Totec e Tezcatlipoca, per generare Tlaloc, dio della pioggia, e Chalchiuhtlicue, sua moglie, dea dei laghi, degli oceani e dei fiumi. Infine, le quattro divinità crearono la terra dal coccodrillo Cipactli. Per questo la Terra viene rappresentata come una dea distesa su un caimano, perché da esso venne tratta.

 Quando tutte queste opere vennero concluse, il dio della notte, Tezcatlipoca, salì al cielo e si trasformò nel sole. Ebbe così inizio il primo dei quattro mondi, detto il Primo Sole. In quell’epoca non esistevano ancora gli esseri umani, ma dei giganti dalla forza erculea, che vivevano pacificamente cibandosi di ghiande, bacche e radici.
 Trascorsero in questo modo 676 anni. In questo periodo si acuì la rivalità tra Tezcatlipoca e Quetzalcoatl, che mirava a prendere il posto del fratello. Per questo, Quetzalcoatl un giorno afferrò un enorme bastone e colpì Tezcatlipoca con tutta la forza di cui era capace, spedendolo nelle profondità degli abissi. Lì, Tezcatlipoca si trasformò in giaguaro e, nell’oscurità in cui era ripiombato il mondo dopo la sua assenza, balzò fuori dalle acque, chiamando a raccolta tutti i giaguari. Questi andarono per mari e per monti finché non uccisero tutti i giganti. Dopo aver compiuto la sua terribile vendetta, Tezcatlipoca assurse al cielo, dove è ancora visibile nella costellazione dell’Orsa Maggiore. Ecco perché sembra che questa costellazione si tuffi in acqua.

Tezcatlipoca e Quetzalcoatl


 Dopo questi avvenimenti, Quetzalcoatl divenne il Secondo Sole, detto il Sole del vento. La terra si popolò di esseri più simili agli uomini nelle fattezze, che si nutrivano solo di pinoli. Ma dopo 364 anni Tezcatlipoca ritornò per mettere fine al Sole del vento. Il Tezcatlipoca Nero provocò una violenta tempesta con un vento così forte che spazzò via Quetzalcoatl e gli abitanti della terra. Quei pochi che sopravvissero all’uragano si trasformarono in scimmie. Il mondo era precipitato di nuovo nell’oscurità.

 Stavolta fu Tlaloc, il dio della pioggia, a prendere il posto del Sole, dando inizio alla terza era, il Sole della pioggia. Gli esseri umani del Terzo Sole mangiavano solo un cereale simile al frumento, che cresce in acqua. Alcuni dicono che fu in quest’epoca che gli uomini scoprirono l’agricoltura e iniziarono a coltivare il mais e altri cereali.
 Erano passati 312 anni del regno di Tlaloc, quando Quetzalcoatl, ancora rabbioso per quanto gli era successo, risvegliò un vulcano, che fece piovere sulla terra fuoco e fiamme. Così, in un solo giorno, Tlaloc, il Terzo Sole, venne abbattuto e gli esseri umani superstiti vennero trasformati in tacchini, cani e farfalle.

Tlaloc, il dio della pioggia

 Quando ebbe ultimato la distruzione, Quetzalcoatl insediò al posto del Sole la moglie di Tlaloc, Chalchiuhtlicue, dea dei laghi, degli oceani e dei fiumi. Nell’era del Quarto Sole, gli esseri umani si alimentavano di un seme dall’aspetto simile a quello del mais. Dopo 676 anni fu la stessa Chalchiuhtlicue a porre fine al proprio regno. Chalchiuhtlicue, nell’ultimo anno del Quarto Sole, fece piovere dal cielo una tale quantità d’acqua, che tutta la terra venne sommersa e tutti gli uomini morirono annegati. Da questi ebbero origine tutti i pesci che abitano le acque. Il cielo si era fatto così pesante che cadde sulla terra, distruggendola.

Chalchiuhtlicue, moglie di Tlaloc e dea delle acque
 
 Dopo queste vicende, Tezcatlipoca e Quetzalcoatl dovettero mettere da parte le reciproche rivalità per ricostruire il mondo. Per prima cosa, crearono quattro uomini, perché li aiutassero a risollevare il cielo. Quindi sconfissero il mostro marino Tlaltecuhtli, che si era insediato nelle profondità dell’oceano dopo il grande diluvio. Tezcatlipoca e Quetzalcoatl uccisero Tlaltecuhtli e spezzarono il suo corpo il due parti: la coda venne lanciata in aria, per formare il cielo e le stelle; la testa, invece, venne utilizzata per formare la terra. I capelli di Tlaltecuhtli divennero alberi, fiori e arbusti, la sua pelle diede origine all’erba; gli occhi formarono grotte e sorgenti, la bocca originò fiumi e caverne; il naso, infine, diede origine a profonde valli e alte montagne.
 Tutto era compiuto, ma mancavano ancora gli astri. Era venuto il momento di decidere chi dovesse essere il Quinto Sole.

- Continua -


  Fonti:
- GANERI, Anita, Miti aztechi e maya – Una raccolta di arte, storia e leggende centroamericane, IdeeAli, Cornaredo (MI), 2008;
- MORALES, Vinicio E., Miti maya e aztechi, Xenia, Milano, 1993;
- Wikipedia, voce "Cinque soli".